Lo stesso di prima, in versi alessandrini.
Così cominceremo: | chiamatemi Ismaele.
Questa è la storia antica | di me che in tal passato
non ebbi fra le tasche | più che un soldo bucato
e, privo d’interessi, | volsi a spiegar le vele.
È il mondo fatto d’acqua | la giusta soluzione
se il cuor va taciturno | e s’immalinconisce;
pei mari il navigare, | non sia chi si stupisce,
acquieta di rimando | la mia circolazione.
Se mai mi vien sospetto | d’avere messo il muso;
se mai mi va nel petto | lo scorno dell’intriso
novembre in tante piogge; | se pur ristagna il viso
dinanzi al vespillone | dei morti a seguir l’uso;
e in special modo quando | un nero umor m’invade
tanto che mi trattiene | solo la mia morale
dal battagliar col mondo | e invero far del male
a quanti più cappelli | incontro per le strade;
d’andar per mare quindi | sento che l’ora è questa.
Lo pongo a sostituto, | l’andar per mare, dico,
della pistola al petto, | del colpo a me nemico;
chi dee partire, parta: | pazienza per chi resta.
S'arrovellò Catone | con gran filosofia;
alfine sulla spada | gettò il suo cuor risolto.
Io cheto pur rimango, | altrove mi rivolto,
m’imbarco e non v’è nulla | che straordinario sia.
Se sol sapesse l’uomo | di questo usato vezzo
chiunque a proprio modo | chi presto e pur chi poi
farebbe invero quello | che dobbiam fare noi:
nei sentimenti il mare | per tutti ha un solo prezzo.
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