giovedì 24 dicembre 2020

Sonetto caudato a Babbo Natale

Sonetto caudato a Babbo Natale


Mio caro Babbo che ogni bambino

da sempre in questi giorni va e consulta:

ascolta pure me che sono adulta,

che qui ti scrivo in versi un pensierino.


Non è che chiedo molto, o mio babbino,

questo mio cuore già più non sussulta

per i balocchi: ma trepida, esulta,

alla speranza d'un caro vaccino.


Oh Babbo! Tu che superi le poste

nella consegna, tu che con la briglia

guidi le renne su quella carlinga!


Va bene tutto, va bene in siringa,

in una mastodontica pastiglia,

va bene pure se viene in supposte!


Aggiungo le proposte

per la Befana. Tu dille che scrivo:

per i no vax carbone lassativo.

venerdì 6 novembre 2020

Tempo notturno - Anteprima

Prossimo Poema Pandemico. 

Questi sono i primi tre canti di Tempo notturno, un poema in endecasillabi in terza rima che ne prevede in tutto 36 e che sarà disponibile, con ogni probabilità, all’inizio del 2021.


Si tratta di una prima versione, ma non dovrebbe discostarsi molto da quella finale.





La storia... be’, la storia parla di un vecchio compositore, di sua moglie, di suo nipote, di un componimento musicale lasciato in sospeso, di una dottoressa alle prese con un compito più grande di lei, di una figura della strada che guarda e commenta, e dell’ardito compito di tradurre in endecasillabi pipistrelli, virus e modelli di diffusione delle epidemie.

Buona lettura, intanto, e a presto. 


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lunedì 2 novembre 2020

Sonetto dello scaricabarile

Sonetto dello scaricabarile


"Oh che tu fai regione cara: chiudi?"

"Non so, mio buon governo: dimmi pure."

"Autonomie cercavi, forti e dure..."

"Sì, ma in passato! Così tu m’illudi!


Che dicono le carte, e che gli studi?"

"Tu vedi, mia regione, che paure..."

"Saranno sanitarie dittature?"

"Di certo questi son numeri crudi…"


"Che fai, mi chiudi tu? Ch'io qui non vedo..."

"Ma no, dopo di te, regione cara!

Autonomie cercavi, e dure e forti…"


"Ma chiudi tu, che io mica secedo!"

"Ma no, qui qualcos'altro si prepara..."

E crescono i malati e quindi i morti.

giovedì 29 ottobre 2020

Sonetto sugli aumenti subdoli e repentini delle curve esponenziali

 Sonetto sugli aumenti subdoli e repentini delle curve esponenziali


Esponenziale che sorgi di fronte

a noi strisciando piana nell'inizio;

e poi esplodi, quasi senza indizio,

lasciando velocissime l’impronte


verso infiniti mostruosi! Simbionte

di crescita che s'alza a dar supplizio,

com'è che mostri intatto questo vizio

di fare turba nel cuore di Conte?


Tu subdola, vigliacca e repentina,

potresti mica avvertirlo con grazia?

Ché quello guarda e s'indigna, irrequieto,


del tuo salire già sull'erta china,

sorpreso del tuo essere mai sazia,

e poi gli viene da fare un decreto.

venerdì 23 ottobre 2020

sonetto del plesso brachiale

 [A lenimento di cotanto smacco / bastevole sarà il diclofenacco?]


Sonetto del plesso brachiale


Braccio che pendi, inerme e già trafitto,

formicolante invano dalla spalla!

Di', quale nervo percosso ti falla,

quale movenza t'ha infine sconfitto?


Fu trauma? Qualche ginnico delitto?

L'età, che in questo tempo medio stalla

e verso cupa vecchiezza s'imballa?

Tanto dolore, chi mai te l'ha inflitto?


Il muscolo scaleno? Fu il trapezio?

Chi ti comprime, mio plesso brachiale?

Chi fa suonare amare le tue corde,


con chi avesti mai siffatto screzio

per far tremare anche il gran dorsale?

Mi guarda il male, cupo, e intanto morde.


22 ottobre 2020

sabato 19 settembre 2020

D'Annunzio quantico

 Qui è quando D'Annunzio scriveva di meccanica quantistica.

TACI. Su le soglie
dell’atomo odo
parole che dici
ben strane; e odo
parole più nuove
che parlano quark e leptoni
lontani.
Non sai bene dove
vi son quelle orbite sparse.
Osservi dei barioni
più rari e scarsi,
guardi quei nuclei
ben densi e irti;
Vedo di dirti
protoni,
o quei neutrini sfuggenti
di masse ignote,
o già dei grumi folti
di neutroni lenti,
da forti forze volti
ed arcane,
incerti fra le posizioni
crude
e quegli impulsi invece
leggieri;
e i freschi principi
che Pauli già schiude
e modella,
su di te particella:
che ieri
t’escluse, ed oggi t’esclude,
Fermione.

domenica 13 settembre 2020

Il premio letterario

 Il Premio Letterario

Anno del Signore 1995. La vostra affezionata ha sedici anni, frequenta brontolando un liceo classico di periferia, legge tanto, dorme tanto, scrive tanto, esce da un paio d'anni molto bui in cui ha avuto seri problemi di tenuta psicologica, sociale, fisica e neurologica, però tiene botta, legge tanto, dorme tanto, scrive tanto (questo ho già detto, mi pare).
Il suo professore di italiano le dice un giorno: "Tosato, tu scrivi bene, perché non partecipi alla selezione del Premio C per i giovani del triennio?" ove il Premio C è un premio letterario che si tiene a Venezia, organizzato dalla confindustria, insomma, proprio quello lì, quello serio. E la vostra affezionata dice va bene, c'è un tema particolare? No, dice il professore, tu scrivi, poi me lo dai e io lo mando. E allora lei scrive, e con l'umore che le passa in quei tempi ne viene fuori una di quelle cose da sedicenni problematici in via di risoluzione, sapete, come aver inzuppato Dostoevskij in salsa beatnik, cioè una cosa che adesso che sono anziana e saggia non farei mai, però insomma, c'era la tempra ruvida della pubescenza, c'era quell'ostinazione disperata della logorrea complicata, c'era la pesantezza dell'inesperienza di chi voleva una vita spericolata ma era in fondo una mite e riservata allieva di un liceo classico di periferia. Però insomma.
Di lì a qualche tempo il professore la chiama in disparte e le dice "Alla commissione è piaciuto, è molto intenso, però potevano scegliere solo un elaborato per ogni provincia e qui a Padova c'erano il tuo e un altro a parimerito."
E quindi, penso io, e poi lo chiedo.
"E quindi hanno tirato a sorte" dice lui e allarga le braccia.
Io penso che almeno sarò fortunata in amore, il che poi è stato anche vero, cioè, dopo una quindicina d'anni è stato vero, nel 1995 non ero molto fortunata in amore, diciamo che supplivo con la mente e i suoi tarli.
Però insomma, avevo delle teorie sulla faccenda. È importante avere delle teorie.
Sono comunque invitata alla cerimonia di premiazione con gli altri finalisti, mi regalano una copia di Sostiene Pereira, che in realtà avevo già letto l'anno prima, quindi in casa ho due copie di Sostiene Pereira, e in una calda e umida mattina di giugno me ne vado fino a Venezia con mia madre e un inopinato vestito di seta nel quale sudavo più del tollerabile.
E lì hanno premiato il componimento di una ragazza che affronta Temi Delicati e Impegnati e Anche un Po' Paraculi Che Fanno Sentire Il Lettore Buono E Giusto e di sicuro molto meno affannosi dei miei tentativi dostoevskijani affogati nel beatnik e poi c'è tutta la giuria che comincia a parlare del Tempo, e io nel mio vestito sudaticcio di seta écru ascolto e ascolto e mi ritrovo nel pieno di un dibattito, ma serio, eh, sulla domanda se il tempo sia un galantuomo o un ladro, roba che Proust impallidisce, e anche Bergson, ma che dico perfino Heidegger, e ad Agostino che lo definiva estensione dell'anima si sarebbero estese anche le gonadi, ma non l'avrebbe detto perché se no Dio non l'avrebbe più reso casto.
Però insomma ho imparato mondi nuovi e nuove strade, per esempio ho imparato a starmene per i fatti miei, e che la Confindustria mamma mia la Confindustria, e che a Venezia in giugno fa più caldo quando ci si veste di seta, e che sarei tornata a essere una allieva brontolona di un liceo di periferia, almeno per altri due anni, e che il tempo è tante cose, e nessuna di queste io riesco compiutamente a dire.

lunedì 20 luglio 2020

Sonetto dell'appendice vermiforme

Sonetto dalle rime difficili sulla mia testè eseguita ecografia addominale di controllo
La subdola appendice vermiforme
che un giorno, ingrossata ed infingarda,
si fe' mostrare all'occhio che la guarda
stizzosa, tumescente e quasi enorme,
seppur non tanto uscita dalle norme
da fare sì che un colpo d'alabarda
potesse pur mozzarla, all'ora tarda
di oggi infine risulta che dorme.
Quel tubicino crudo, cieco e zotico
s'è dunque ben sfinato e non lo vede
la sonda dell'ecografo; nel mentre,
colpito da più giorni d'antibiotico,
si sfiamma, s'addomestica e recede,
non più causando coliche nel ventre.

domenica 5 luglio 2020

Sonetto sul capannone

Ove ci si ricorda delle proprie origini venete e si scrive un sonetto caudato.
Il capannone 
Campagna, te go dito, la ghe gera
tuta qua intorno; forse resta
sottesa ai vincoli, poi, di cartapesta,
del lavorare finché viene sera.
È tutta roba fatta, e vita vera,
è quello che ci cova nella testa
e non c’è mai nessuno che protesta,
non c’è nessuno che dice che spera
in anime diverse. Fato puìto,
e che el governo me staga distante.
Son vivo come devo, e non saprei
davvero esser altro. L’infinito
è dato in poche cose, non in tante:
mi sò el paron qua dentro, co’ i me’ schei,
e dica pure lei,
e chi non ha da dire, el varda e el tasa.
È questo che fa il mondo, mondo e casa,
che gravita e si intasa
fin dentro un ordine senza ragioni
ch’è campi e giorni e notti e capannoni.

mercoledì 17 giugno 2020

Sonetto lacero contuso

...di quando ho sbattuto la testa sulla finestra, ieri sera, e sono dovuta andare in pronto soccorso dove mi hanno messo quattro punti

Sonetto lacero contuso
Non ero che una solida finestra
aperta in faccia al mondo, nella sera,
come un presente ostinato che spera
e che al futuro s'aggrappa e s'addestra;
ma sento un colpo che già mi sequestra
dai miei umori lenti, dalla nera
parvenza della notte. È cosa vera?
Risuona come un maglio in un'orchestra
d'armi e dolori e fatti senza senso.
Vedo - c'è carne, lì sotto, che langue;
c'è pelle che si volge in modo crudo,
c'è l'attimo staccato dall'immenso
trascorrere del tempo: si fa sangue.
Aspetto, vibro un po', poi mi richiudo.

sabato 6 giugno 2020

Sonetto dell'otite

Sonetto dell'otite
(e sono anche andata a controllare che non fosse un sintomo di covid)
O sordido pulsare nell'orecchio
che porgi suoni continui e ronzanti,
molesti, temutissimi e pulsanti
che d'universi interni sono specchio;
tu, male antico, nuovo e ancora vecchio
che m'aggredisce, con venti tonanti
ed un rugliare cupo, con vacanti
sconquassi d'equilibrio, se sonnecchio
e pur non dormo (ci provo, non riesco),
se resto sveglia, dolente e contratta!
Ma vattene da me, malanno folle
che batte l'aria torta in arabesco;
ed io mi copro i timpani d'ovatta,
altro sperando, paziente, già molle.

sabato 23 maggio 2020

Requiem per l'amatriciana

REQUIEM PER L'AMATRICIANA
di Elena Tosato featuring Giorgio Agamben

Come avevamo previsto, l’amatriciana si fa sempre più spesso con la pancetta. Quello che per un osservatore attento era evidente, e cioè che la cosiddetta libertà culinaria sarebbe stata usata  come pretesto per la diffusione sempre più pervasiva di ingredienti eterodossi, si è puntualmente realizzato.
Non c’interessa qui la conseguente trasformazione dell’amatriciana, in cui l’elemento del guanciale, in ogni tempo così importante nel rapporto fra cuochi e semplici appassionati, scompare definitivamente, come scompaiono le discussioni collettive nei corsi di cucina, che erano la parte più viva dell’insegnamento. Fa parte della barbarie alimentare che stiamo vivendo la cancellazione  dalla vita di ogni esperienza dei sensi e la perdita del gusto, durevolmente  imprigionato in un’accondiscendenza facile alla reperibilità nei supermercati. 
Ben più decisivo in quanto sta avvenendo è  qualcosa di cui significativamente non si parla affatto, e, cioè, la fine della tradizione culinaria come forma di vita. L’amatriciana è nata nel Lazio come specialità della zona di Amatrice – provincia di Rieti –  e a questa deve il suo nome. Quella dell’amatriciana era, cioè, innanzitutto una forma di vita, in cui determinante era certamente la provenienza dalla gricia, ma non meno importante erano l’incontro e l’assiduo scambio tra Rieti e Napoli, che ha consentito l’unione tra il guanciale e il pomodoro San Marzano. Questa forma di vita si è evoluta in vario modo nel corso dei secoli, ma costante, dal Settecento all’Italia post unitaria, era la dimensione sociale del fenomeno. Chiunque ha mangiato un piatto di bucatini all’amatriciana sa  bene come per così dire sotto i suoi occhi si legavano amicizie e si costituivano, secondo gli interessi culturali e politici, piccoli gruppi di affezionati ed estimatori,  che continuavano a incontrarsi anche dopo la fine del pasto.
Tutto questo, che era durato per quasi tre secoli, ora finisce per sempre. 
Di  ogni fenomeno sociale che muore si può  affermare che in un certo senso meritava la sua fine ed è certo che l’amatriciana era giunta a tal punto di diffusione e di ignoranza che la forma in cui arrivava nel piatto si era conseguentemente altrettanto immiserita. Tre punti devono però restare fermi:
1. i cuochi che accettano – come stanno facendo in massa – di sottoporsi alla nuova dittatura alimentare e di sostituire il guanciale con la pancetta sono il perfetto equivalente dei docenti universitari che nel 1931 giurarono fedeltà al regime fascista. Come avvenne  allora, è probabile che solo quindici su mille si rifiuteranno, ma certamente i loro nomi saranno ricordati accanto a quelli dei quindici docenti che non giurarono.
2. I buongustai che amano veramente la tradizione culinaria locale dovranno rifiutare di cibarsi di pietanze così trasformate e, come all’origine, costituirsi in nuove tabernae, all’interno delle quali soltanto, di fronte alla barbarie alimentare, potrà restare viva la parola del passato e nascere – se nascerà – qualcosa come una nuova cultura.
3. E non provate a metterci la cipolla, stronzi.

lunedì 18 maggio 2020

Sonetto del distanziamento

Sonetto del distanziamento


È una cesura improvvisa, bugiarda,
che regola lo spazio e lo rifonda.
Ci prende, ci soppesa, poi ci sonda,
ci definisce mobili; si azzarda,

nel movimento che vago si attarda
a far giocare gli affetti di sponda,
a ricavarne una storia profonda.
Nodi allentati di gente che guarda,

che lancia altrove le proprie parole,
così ci rende, ed intanto cerchiamo
nuovi strumenti d’antica alleanza,

sgranando queste ombre lunghe e sole,
unite all’orizzonte. E qui proviamo
già le lusinghe del tatto a distanza.

giovedì 14 maggio 2020

Sonetto sulla mascherina

Sonetto sulla mascherina

Poiché siam fatti tutti come pezzi
vissuti di teatro, o come riti
di morti apparecchiate, o adibiti
a camuffare sempre sensi e vezzi,

eccoci dunque costretti nei mezzi
più muti, e sulle bocche ricuciti,
di nuove maschere. Siamo riusciti
a fare sì che il vento ci carezzi

lo stesso, che il profumo ci attraversi
se non nell’aria, di già nel ricordo;
e che permanga compiuta e non taccia

ogni espressione che rende diversi
i volti e i nomi impressi nell’ingordo
aspetto sottostante della faccia.

martedì 5 maggio 2020

The end of Life

Sonetto scritto il 12 aprile in morte di John Conway, mi ero dimenticata di condividerlo qui.

The End of Life

Un mondo semplice, quasi un giardino
fatto di vita e morte, disadorno
d’altri concetti. Si muove un contorno
di possibilità, tutte in cammino

con regole assegnate per destino
rimaste inalterate da quel giorno:
si muore se non c’è nessuno intorno,
o se ti restano pochi vicino,

oppure soffocati dalla calca;
si vive, o si rinasce, in altri casi,
secondo chi ti gravita di presso.

Il tempo così passa, e ci scavalca:
perché noi siamo stati, o siamo quasi,
pezzi di un conto già troppo complesso.

mercoledì 25 marzo 2020

Dantedì

Buongiorno!

Eccoci qui, incapsulati e sospesi in un giorno qualunque del lockdown. Sembra che esistano due linee temporali: una vecchia, normale, che prosegue dritta come prima, e una nuova che rimesta dentro se stessa, fatta di statistiche e conti e previsioni fragili.
Ma oggi torniamo alla prima di queste linee. È primavera, là fuori, anche se non sembra affatto, ed è il 25 marzo. È il Dantedì.
Il 25 marzo è il giorno in cui Dante si perde nella selva oscura e comincia il suo viaggio.

Quindi, visto che oggi è il Dantedì, ho deciso di celebrarlo a modo mio. Sonetti! Abbiamo dei sonetti!
Ventuno, per la precisione, divisi in tre gruppi di sette. L'idea era questa: prendere dei temi danteschi (non necessariamente dalla Commedia) e scriverci qualcosa con la lingua e i modi di oggi, tenendo conto dei secoli trascorsi ma senza perdere l'aggancio con l'idea originale.
E i temi sono questi:

- i sette vizi capitali
- le sette arti liberali, il trivio e il quadrivio, cioè quelle attività intellettuali che costituivano il curriculum dei chierici prima di intraprendere gli studi universitari
- le sette virtù, divise fra le quattro cardinali e le tre teologali.



Il PDF è liberamente scaricabile via Dropbox dal link che trovate qui sotto.
Leggetelo, condividetelo, è distribuito sotto licenza Creative commons - attribuzione, no opere derivate, non commerciale.
Spero che i sonetti vi piacciano, spero che vi tengano compagnia in questi giorni di clausura forzata in cui bisogna stare lontani per stare vicini, ma poi si passa per un pertugio tondo e si torna a riveder le stelle.

Ventuno sonetti per il Dantedì


sabato 14 marzo 2020

Sonetto del giorno del pi greco

Pi Day

Cammino a passi nudi tutto in tondo,
e conto quel ch’è dentro. L’opportuno
pensiero d’aver preso il raggio uno
mi resta nella mente, e sullo sfondo;

in questo camminare vagabondo
ma regolare, raccolgo e raduno
l’irrazionalità che già ciascuno
sospetta si nasconda dentro il mondo

dei numeri. Ne vedo trascendenti,
lì dove il polinomio si fa cieco
di darli in soluzione; e vedo questo,

nel cerchio che misuro a passi lenti,
con l’improvviso nome di pi greco

contarne l’area con un solo gesto.

domenica 2 febbraio 2020

Sonetto sulle date palindrome

Sonetto sulle date palindrome
Il tempo ben ritmato, ch'è vicario
dell'ordine spacciato per consueto, 
si trova oggi, scattando discreto,
a leggersi diritto ed al contrario:

effetto d'un destino secondario,
fraseggio e contrappunto già completo,
questo crediamo; speriamo un segreto,
un senso d'altri mondi, un solitario

indice di clemenza della vita,
dell'universo intatto fuor di noi, 
del battere atonale di scadenze:

infatuati delle coincidenze
che nulla sanno del prima e del poi,
e che non hanno risposta o smentita.

02.02.2020

lunedì 13 gennaio 2020

Sonetto su una famosa candela

Che poi ci si domanda: stearina?
Un retrogusto sottile di cera,
o forse dentro il corpo lesto c’era
un palpito d’onesta paraffina?
Si compra, s’intuisce, s’indovina
l’ultima spezia, profonda, sincera,
che rende la menzogna dolce e vera?
C’è una candela che sa di vagina!
Così strepita il mondo, ed il mercato
gli tiene dietro spingendo il bisogno.
È proteiforme lo slancio dell’ego!
Prende l’aroma da sempre cercato,
la luce, la speranza, il grande sogno,
anche se finto in un pezzo di sego.