sabato 19 settembre 2015

Manuale di conversazione - download

<< Chi ero prima di parlare? Che cosa desideravo? Non mi è più dato saperlo e forse nemmeno mi interessa; non so se sarebbe utile per il manuale. Nei primi tempi della mia vita ero talmente poco interessata ai rumori del mondo che i miei genitori pensavano che fossi sorda. Devono essersi preoccupati parecchio. In realtà ci sentivo perfettamente e nulla, a parte forse la mia indifferenza, fece mai presumere che avessi qualche impaccio nello sviluppo fisico o cognitivo. 
Mia madre, che di suo ci si metteva a stimolarmi raccontandomi fiabe per ore e ore, era terrorizzata dal pensiero che potessi soffrire senza riuscire a spiegare il perché. Decise allora che avevo bisogno di un vocabolario adeguato e ci tenne a che imparassi il maggior numero di parole possibile. Avrei dovuto imparare per elenchi, lo so: sarebbe più conforme allo stereotipo di persona che si sta delineando di me, ma non fu così, e imparai con l’uso e l’abitudine. 
Era importante che conoscessi per bene le parti del corpo: che fossi in grado di spiegare a mia madre il tipo di dolore e la sua localizzazione precisa, cosa che paradossalmente mi sarebbe valsa il suo scherno un quarto di secolo dopo quando mi colse quel terribile mal di denti di cui ho parlato in precedenza. Avevo appena cominciato a non farmela più addosso che già ero in grado di identificare i termini di vescica, uretra, muscolo costrittore, perineo e sfintere e, tra gli altri, i concetti di bicipite, tricipite, stomaco, intestino, petto, gola, vie aeree superiori e inferiori, tarso e metatarso, carpo e metacarpo, naso, zigomo, e tutti i denti da latte che avevo in bocca. Tanto era l’orgoglio della conoscenza che non perdevo occasione per esibirla a qualsiasi adulto incontrassi, il che, essendo io figlia unica, si riduceva a correr dietro ai miei genitori e ai loro incolpevoli amici, ma per me voleva dire tutta l’umanità.>>


Manuale di conversazione (come essere molto nerd e vivere tutto sommato felici) è disponibile per il download:



[EDIT: link rimosso, il romanzo sarà disponibile su Bookabook]

lunedì 7 settembre 2015

Il Quattordici

Il Quattordici

Tragedia culturale in atto unico. 

Scena I
Personaggi: Deduzio, Arguzio.

Alla fermata dell’autobus. In scena c’è solo Arguzio, che aspetta con aria annoiata, guardando svagato qua e là.

Deduzio (arriva trafelato): Mi scusi, è già passato il 14?
Arguzio: tace e si ostina a guardare in aria.
Deduzio (schiarendosi la voce): A-hem. Mi scusi, il 14...
Arguzio (spazientito): sì, sì, ho sentito.
Deduzio: E... e quindi?
Arguzio: Definisca “il 14”. 
Deduzio (sorpreso): Be’, ma... l’autobus, io intendevo l’autobus.
Arguzio: e certo che intendeva l’autobus. M’ha preso per uno stupido?
Deduzio: Ma no! Che dice? E quindi? È già passato?
Arguzio: No.
Deduzio: Oh. Grazie. (Canticchia imbarazzato) È da molto che aspetta?
Arguzio: Vede, se le ho chiesto di definire “il 14” era perché fossimo entrambi certi di relazionarci allo stesso referente, ove il referente è determinato da un numero sufficiente di descrizioni di una data famiglia di concetti agglomerati. Converrà con me col sostenere che la certezza è una nozione epistemologica, e che è necessario che due interlocutori, quali noi siamo, si accordino preventivamente, se non tanto sul significato del nome “il 14”, quantomeno su ciò che ne determina il riferimento. Questo giusto per impostare il problema in maniera corretta.
Deduzio (piccato): Crede che non sappia che cosa vuol dire impostare correttamente un problema? Intendevo l’autobus numero quattordici, sa, il quattordici, sa cosa vuol dire: individuare gli attributi del ‘Quattordici’, astraendo dai dati, e individuare altresì le sue possibilità di azione, astraendo dalle sue funzioni...
Arguzio: Eh ma lei la fa troppo facile, signor mio. Mi pare che voglia venire a parlare di classi di oggetti, proprio a me, ah ah. Sappia che ho scritto degli articoli a riguardo. E già che si verrà poi a parlare di autobus, mi dica, mi dica se non andremo a indagare la contraddizione tra lo sviluppo delle forze produttive e lo stato dei rapporti di produzione, giacché l’autobus, estrinsecazione borghese delle necessità spaziali ed economiche del lavoratore, è esso stesso paradigma e fine dell’analisi dialettica della metodologia del traffico.
Deduzio: Mi pare che lei la faccia troppo complicata. Un autobus non è che un sistema meccanicistico emergente che si basa, in buona sostanza, su processi meccanici, chimici, elettrici e termodinamici. Fisici, per dirla in breve. E il suo muoversi nel traffico è altresì facilmente modellizzabile in termini di analisi delle reti e teoria dei grafi.
Arguzio: Ad un livello ontico, signor mio! Che mi dice dell’inevitabile sizigia semantica del campo fisico con quello metaconcettuale? L’autobus è un mezzo e come tale è un messaggio, indipendentemente dai contenuti informativi, nella fattispecie le monadi espressive dei singoli umani, che trasporta. Ci ha mai fatto caso? Immagino di no, se è rimasto (sprezzante) a pensare al bus nell’ambito della teoria delle reti. 
Deduzio: Uh, che paroloni. Ma mi dica, è da molto che aspetta?
Arguzio: Dica lei, dica, dica. Lei che ha sicuramente capito cos’è il tempo, signor mio, con tutta la sua scienza, dica se secondo lei è molto che aspetto.
Deduzio (vantandosi): Lei mi sfida, ma casca male. Potrei dirle, con sufficienza e sprezzo della sua ignoranza di umanista, che dipende dal sistema di riferimento, giacché non siamo più soggetti a dover pensare al tempo come un assoluto...
Arguzio: ...cartesiano, o un apriori kantiano, ma certo, lo so...
Deduzio: ...sì, ma cosa ne sa, realmente? Ne avrà sentito parlare da qualche epistemologo d’accatto. Non avrà sondato la natura del tempo che deriva dalla conoscenza delle strutture dissipative, parlando in termini di termodinamica, o delle possibilità di curvatura dello spazio-tempo; e sono paradigmi che poi si possono estendere per interpretare tutto lo scibile umano: la scienza, certo, ma anche l'etica, la politica, l'economia e l'eros, tutto esclusivamente seguendo formule algebriche e semplici - per me, beninteso - formalismi logici. Le sa, queste cose, lei? Certo che no! E non saprà nemmeno, lei che sta qui ad aspettare un autobus e non sa nemmeno dirmi da quanto, delle teorie che prevedono l’esistenza stessa del tempo come un epifenomeno, lei...
Arguzio (vantandosi di par suo): Ma mi faccia il piacere! Io studio me stesso nell’essere-qui, anzi, sa che le dico, lei non ha capito un accidente se non riesce a concepire l’esser-ci come un ente che è capace di interrogarsi sull’essere. Lei sta qui, aspetta l’autobus e non si pone il problema di come l’essere si rapporta all’esistere. Contento lei...
Deduzio: Mi tolga una curiosità: che lavoro fa?
Arguzio: Son filosofo, io. E filologo, esteta, profondo intenditore delle scienze umane. E lei, se mi posso permettere?
Deduzio: Logico e scienziato della scienza che fa la scienza vera.

Si guardano e si soppesano per un lungo istante, reciprocamente disgustati.

Deduzio: Oh, arriva un autobus.
Arguzio: Non si affanni. È il 9.
Deduzio: Ah. Allora non va bene.
Arguzio: Non va bene nemmeno per me.

Tacciono imbarazzati e continuano a lanciarsi occhiate di sbieco.

Arguzio: Ha mai notato che il 9 passa sempre prima del 14 anche se partono allo stesso orario? È che il 14 deve fare tutta via Roma, mentre il 9 taglia per corso Napoli. Se ne deduce che via Roma è molto trafficata.
Deduzio: Non sono per niente d’accordo; non sull’inferenza sul traffico in via Roma, che è ovviamente banale, anche perché se non mettono la rotatoria.... (spazientito) ma sull’analisi delle premesse. Ho infatti notato che il 9 passa prima del 14 soltanto il pomeriggio, mentre la mattina tendono ad arrivare insieme. Ho raccolto i dati e ne ho fatto una statistica, analizzando le possibili fonti di errore. Lei, come fanno al solito quelli della sua razza, ha sussunto delle ipotesi senza metterle al vaglio degli esperimenti.
Arguzio (sarcastico): Vuol farmi anche la lezioncina sui limiti, già humeani, dell’induzione?
Deduzio: Non ho tempo da perdere, signor mio.
Arguzio: Tanto meglio, nemmeno io. E se ci bada, non ho mai assunto, implicitamente, che le mie osservazioni sul traffico in via Roma, anche perché se non mettono un semaforo... (spazientito) che le mie osservazioni sul traffico in via Roma fossero estese a tutta la giornata.

Tacciono offesi.

Deduzio: Certo che il 14 si fa aspettare.
Arguzio: Ne convengo.
Deduzio: È che ho una certa urgenza di tornare a casa. La mia famiglia mi aspetta.
Arguzio: Ha dei figli?
Deduzio: Tre maschi.
Arguzio (raddolcito): Curioso! Anche io ho tre figli: un maschio e due femmine. Che età hanno i suoi?
Deduzio (impettito ma allegro): la somma delle loro età è 13, il prodotto è 36, e il minore ha gli occhi azzurri.
Arguzio: Oh, che buffo. Pensi che invece quando ho chiesto a mio figlio di dirmi se fosse vero che le sue sorelle erano entrambe maggiori di lui di un anno, ha risposto dicendo che stava mentendo.
Deduzio (ridacchiando): Eh, ma son cose di ragazzi.
Arguzio (ridendo a sua volta): Eh eh, sì.

Tacciono e scrutano la strada pensierosi.



Scena II
Personaggi: Arguzio, Deduzio, Uomo.

Arriva un uomo. Si avvicina all’orario delle corse, poi controlla l’orologio che ha al polso.

Uomo: Domando scusa...
Arguzio e Deduzio (in coro): Il 14 non è ancora passato.
Uomo (sorpreso e un po’ risentito): Ah. Be’, sì, grazie. Eh eh. 

L’Uomo si mette ad aspettare l’autobus in silenzio, un po’ in disparte rispetto a Deduzio e Arguzio. Apre un libro e comincia a sfogliarlo. Deduzio e Arguzio guardano l’uomo di sottecchi.

Arguzio (sottovoce, a Deduzio): Che sta leggendo? Ci vede fin là?
Deduzio (sottovoce): No, la copertina è nascosta.
Arguzio (sottovoce): Speriamo sia della buona letteratura. Dostoevskij. Joyce. Che dico? Musil. O della filosofia, o un saggio di antropologia.
Deduzio (storcendo la bocca, sempre sottovoce): Poveretto! Io leggo abitualmente la fantascienza. Oltre, naturalmente, a saggi di carattere scientifico. Il resto è, ne converrà, una noia mortale.
Arguzio (storcendo la bocca, sempre sottovoce): Non dubitavo dei suoi gusti, guardi.
Deduzio (soppesando la faccia di Arguzio, sempre sottovoce): Oh guardi, nemmeno io dubitavo dei suoi.

Tacciono schifati.

Uomo (agli altri due, forzatamente allegro): Certo che ce ne mette a passare, eh?

Arguzio e Deduzio sorridono imbarazzati e accennano a delle risposte di circostanza.

Arguzio: Così è la vita, caro signore...
Deduzio: Eh eh, non disperiamo...

Si spostano un po’ più in là, in modo da allontanarsi dall’uomo, che riprende a leggere il suo libro.

Arguzio (sospira): Vede? Questo è quello che succede quando ci si affida alla modernità e si fa della tecnica una divinità. 
Deduzio: Ma si riferisce all’autobus? 
Arguzio: All’autobus, certo!
Deduzio: Che sciocchezze.
Arguzio: Saranno sciocchezze per lei, ma già s’è visto dall’invenzione della ruota e, più tardi, dalla rivoluzione industriale. E andrà sempre peggio. Guardi, non gliela voglio nemmeno raccontare secondo i crismi della realtà che si fa ideologia o sulla constatazione della dissoluzione del soggetto, giacché lei - mi scusi, sa - non ha evidentemente le conoscenze dialettiche per soffermarsi su una analisi critica e metastorica delle storture del neoliberismo e del revanscismo tardo borghese che ha nel turbocapitalismo la sua sintesi più pacchiana e mortifera. Lei, nel suo vaniloquio inconsapevole fatto di trastulli positivisti che non è riuscito ad espungere dalla sua iconica Weltanschauung, non ha...
Uomo: Arriva...
Arguzio (all’Uomo): Non interrompa, lei. Dicevo (di nuovo a Deduzio), lei non ha coscienza della nostalgia per l’essere e della conoscenza incontrovertibile del vero. Lei si rotola nel fango soterico eppure soffocante di chi si illude di poter confondere gli scopi con i mezzi e fare di tutto ciò cultura e ricchezza dello spirito. Ma fosse solo questo! Quando la natura si ribella alla tecnica, le leggi della natura a quelle che noi abbiamo imposto...
Deduzio: Per carità, lei mi confonde il piano descrittivo con quello prescrittivo e pretende di insegnarmi il mestiere. No, guardi, sarò gentile, il fatto è che...
Arguzio: Il fatto! Ma sentiamo! Il fatto. Lei confonde fatti e interpretazioni e pretende di...
Deduzio: ...No, guardi, io questo non...
Uomo: Arriva...
Deduzio (all’Uomo): Zitto lei. (Ad Arguzio) Dicevo, secondo la logica, materia che lei evidentemente ignora, al di là di qualche facile sillogismo, secondo la logica che è chiave di lettura di ogni cosa, dal diritto a...
Arguzio (ridendo): Sì, certo... e il fato della ragione, ah ah...
Deduzio: ...lei non inquadra la comunicazione nel riferimento, che...
Arguzio: e lei non sa che il riferimento, secondo i propositi di sistematizzazione di...
Deduzio: ...la conoscenza quantitativa della...
Arguzio: ...la diegesi mitopoietica che lei propone è puerile e risibile...
Deduzio: ...non incorra nelle solite fallacie...
Arguzio: ...l’immanenza del...


Passa il 14. Si ferma.

Uomo (guardando titubante i due che continuano a litigare e a darsi sulla voce): Be’, è il mio. Arrivederci.

L’uomo sale sul 14.
L’autobus riparte. 
Arguzio e Deduzio lo lasciano sfilare, poi si allontanano, furenti, da parti opposte della scena.

Sipario.