sabato 11 maggio 2013

Hasta siempre, Punto Y Coma

Stamattina mi sono alzata dal letto rimuginando più del solito e, mentre sgranocchiavo i miei cereali e mi rovesciavo lo yogurt sulla maglietta, mi è uscito un suono di crudo lamento pensando alla grande vittima della punteggiatura moderna. Non mi riferisco all'abuso dei tre puntini di sospensione, che pure già dopo Céline avevano martoriato le gonadi all'universo mondo, perché sarebbe stato come sparare sulla Croce Rossa; mi straccio le vesti, invece, per le misere sorti del punto e virgola.

Il punto e virgola è dove il discorso si appoggia, prende fiato e continua; il punto e virgola non può essere urlato ed è l'indice di un ragionamento in atto, del fatto che si sta arieggiando il cervello. Sostituitelo con il punto fermo e cosa otterrete? Una mitragliata di pensieri apodittici e sentenziosi, che solo a vederli mettono tristezza. Ah, punto e virgola, che fine ingloriosa, abbandonato tra il ciarpame linguistico come il congiuntivo e l'ipotassi! Scalzato da orde barbariche di "po'" con l'accento, "qual è" con l'apostrofo e "piuttosto che" nell'utilizzo disgiuntivo.

Ormai è un dilagare di punti fermi appoggiati a una oratoria mistica ed evocativa, fortemente moraleggiante. Esempio applicato alla descrizione della mia colazione, in corsivo:

Stamattina. Stamattina mi alzo, i soliti pensieri in testa. Ma forse no, sono pensieri diversi. Là, i soliti cereali. Il solito digrignare di carboidrati tostati e inzuppati in uno yogurt biancastro. 
[qui volendo si possono fare delle allusioni sessuali, che acchiappano sempre una fetta di pubblico]

Un senso di nausea esistenziale mi prende. Un senso di nausea per tutto quello che rappresenta l'abitudine della colazione.
[Naturalmente non è vero, ma anche questo ricalca quel cliché un po' maudit di cui sopra per cui il lettore può immedesimarsi e provare empatia, tanto più che le sofferenze non sono sue]

Penso a quello che mi aspetta. No, cazzo, no.
[L'uso della volgarità gratuita è cifra stilistica vieta e abusata, ma provate a farne a meno e vi guarderanno come un'eroina di Jane Austen che entra in un pub malfamato e il primo che le rivolge la parola è un personaggio di Irvine Welsh]

Penso a cose stupide, come l'ortografia. La punteggiatura. Scuola del cazzo. Cose del genere, ricordi di un'adolescenza, schizzi di memoria, niente, tutto.
[ah? va' che roba moderna!]

Una macchia di yogurt, là, sulla maglia. Come uno sparo, come uno sputo di una notte passata altrove. Sangue della mia abitudine, del mio perbenismo borghese.
[Presto, dei puntini di sospensione!]

Così, mentre la nausea sale
[Non è vero, vedi sopra; e a dirla tutta se la mattina avessi la nausea mi preoccuperei di cose più importanti rispetto a una crisi esistenziale da quattro soldi]

rielaboro tutta la mia grammatica, la guardo come uno straccio vecchio, no, come una struttura di ruggine e bestemmie. Un'architettura morta, la piramide del mio fallimento
[abbondare con le metafore]

come essere umano che una volta voleva la rivoluzione.
[abbondare anche con l'autocompiacimento e la nostalgia, che fanno tanto letteratura d'essai]

Punto. Un solo punto fermo. Un solo punto fermo per tutta la vita. Per tutta la vita.
[Lasciare una riga in bianco, affinché il lettore si senta compreso della tragedia intima e sociale. A proposito di tragedia: pure tu, Melpomene, che brutta fine.]

Adesso quasi quasi lancio una petizione su Change.org per salvare il punto e virgola; se si usasse di più il punto e virgola ci risparmieremmo un sacco di sofferenze letterarie che solo per leggere ti va di traverso tutto il senso del ridicolo.

Hasta siempre, Punto Y Coma.


venerdì 10 maggio 2013

Da qualche parte, in Puglia


Siccome la realtà locale si dimostra talvolta una spigolatura coerente del Grande Tutto, e siccome ogni campanile raccoglie da tempo immemore attorno a sé capitani di ventura e aspiranti signori, il Commendatore è candidato sindaco alle prossime elezioni comunali.

Il Commendatore è figura curiosa e poliedrica: è partito per imbarcarsi sulle navi in gioventù come han fatto molti suoi compaesani, perché il borgo s’affaccia sul mare e dal mare ha tratto sostentamento prima che un’industrializzazione ruspante ne diversificasse l’economia. Rientrato ben presto dalle fatiche marittime, ammiraglio nel cuore e mozzo nei calli, il Commendatore ha preso a parlare dell’avventura con quello che, se avesse conosciuto i riferimenti, avrebbe potuto definire il piglio dell’Achab dell’Adriatico frammisto al destino glorioso di un Horatio Nelson. Come che sia, il Commendatore è tornato sulla terraferma e s’è dato da fare per sbarcare il lunario e ora, oltre che Commendatore e Capitano d'Industria, è anche Barone ed Erede dell'Impero Romano d'Oriente nonché ballerino di Harlem Shake. Lo spirito, s’è capito, non gli difetta; soprattutto non gli manca un’incrollabile fiducia nei propri mezzi. È diventato imprenditore. Ha un certo numero di dipendenti, produce e lavora. Ma tutto questo non può essere sufficiente: ha fatto coniare delle monete con la sua effigie, ha scritto libri su tutto lo scibile umano, ha pensato a rendere degna la propria morte, voglia il Cielo lontana, facendo innalzare nel cimitero cittadino una piccola cappella in stile ionico-littorio sormontata da un suo busto in bronzo e arricchita da una scritta in una lingua che assomiglia al latino, ma soprattutto il Commendatore ha sempre sentito che il Paese ha bisogno delle sue riflessioni e dei suoi consigli e per un certo periodo si è messo a scrivere delle lunghe lettere di scienza politica e tattica spicciola all’unico che riconosceva come interlocutore, l’Altro Imprenditore che s’era fatto da sé, quello brianzolo che faceva le cene eleganti con le signorine scosciate e che aveva tutti quegli amici imbarazzanti. Il Commendatore scriveva dunque al Cavaliere, che bontà sua non gli ha mai risposto; ma il Nostro è convinto che le missive siano state lette e ponderate, perché molte delle mosse politiche di Berlusconi sembravano prendere ispirazione, a suo dire, da quanto gli aveva suggerito. 

È stato recentemente dato alle stampe - una volta si sarebbe detto ciclostilato in proprio, ma adesso c’è il self publishing che dà quel tocco internazionale e non sembra una cosa da sezione della Sinistra Giovanile (fu FGCI, 1921-1998), che al Commendatore poi gli viene l’orticaria a pensare ai comunisti - un libro autobiografico scritto dal Commendatore in persona.
L’epopea d’una vita vissuta per il Lavoro e per la Patria - così mi figuro, non avendo letto il libro - è ora disponibile per arricchire le librerie dei concittadini. E dei dipendenti del Commendatore, va da sé. Fonti anonime raccontano che il Commendatore, in qualità di datore di lavoro, ha infatti caldamente consigliato ai suoi subordinati l’acquisto del libro; comunque, nel caso in cui il dipendente rifiuti, dal suo stipendio verrà trattenuto l’importo corrispondente al prezzo di copertina. 

Nel frattempo la campagna elettorale continua e risuonano gli slogan del Commendatore, compreso un inquietante “una città che lavora è una città libera”, che a me ricorda un po’ certe scritte in tedesco su dei cancelli di ferro battuto. La città è stata tappezzata di manifesti in cui il Commendatore si staglia in piano americano su sfondo azzurro, compunto e assorto, e il motto sul suo simbolo s’imprime nella memoria dell’elettore che vi transita sotto: “Lavoro, Cultura, Diritti”, così come è stato ben riassunto dall’episodio riferito dalle solite voci che raccontano come il costo di un libro (cultura) venga addebitato (diritti) ad un proprio dipendente (lavoro). 
Ma il Commendatore è forte delle sue parole, Egli non ci tradirà, dice; Egli ha ammonito i giovani a restare saldi nelle tradizioni del lavoro e della famiglia, e forgiando la lingua italiana con la stessa intraprendenza con cui ha forgiato la propria vita li ha invitati a matrimoniarsi; Egli ha dalla sua parte l'epica e s’avanza solitario verso il voto primaverile, sfidando la crisi di rappresentanza e l’apparentamento con partiti e movimenti, proponendo come soluzione la sua figura di re taumaturgo del ventunesimo secolo ed eterno paradigma italiano dell’arte di vivere raffazzonando talenti impropri.
Il mare, davanti alla città, assiste tranquillo.