lunedì 31 luglio 2017

Nessun colore

Quando la cromodinamica quantistica incontra la canzone italiana.

Nessun Colore
(Mogol, Battisti, Gell-Mann, Tosato)

Tu mi sembri un po’ stupito
perché rimesto quark differenti
come se
li avessi già colorati
ed avessi qui, di più,
sei sapori ben presenti
Son dentro
e confinati
asintotica la libertà
il modello si presenta perfetto
per ragioni ovvie studiando l’ottetto

ma fuori niente no
non vedo niente no
nessun colore
neutro il barione
neutro il mesone
nessun colore

Ed eri indeciso
combattuto
se fosse matematica o vita:
particelle più leggere o pesanti
con un’interna simmetria
quell’SU(3) che va nei quanti
Allora
già intuivo
che c’era qualcosa che la legava
quella fragile eterea presenza:
del gluone
non puoi certo far senza

non vedo niente no
adesso niente no
nessun colore
neutro il barione
neutro il mesone
nessun colore
non vedo niente no
adesso niente no
nessun colore
neutro il barione
neutro il mesone
nessun colore

l’interazione dici ch’è forte
ma si manifesta alle distanze più corte
nei nuclei è ancora importante
a maggiore scala no,
non senti niente
ogni mesone virtuale mediava
la forza tra quegli altri adroni,
qualcosa che li univa
ed interagiva
ed interagiva
ed interagiva

non vedo niente no
adesso niente no
nessun colore
neutro il barione
neutro il mesone
nessun colore 
non vedo niente no
adesso niente no
nessun colore
neutro il barione
neutro il mesone

nessun colore

sabato 22 luglio 2017

Parole e radici

PAROLE E RADICI

Per uscire da un periodo in cui avevo la gommapiuma in testa e un alone di depressione umidiccio scatenato dalla fine della stesura di Teoria dei canti, questa primavera mi sono messa a seguire un MOOC sulla teoria di Galois. Nata da considerazioni squisitamente algebriche, come la risoluzione per radicali di equazioni di grado superiore o uguale al quinto (che si dimostrerà generalmente impossibile), la teoria fa anche un sacco di altre belle cose, come porre in relazione campi e gruppi. Un punto essenziale è che ogni equazione algebrica è ancora soddisfatta una volta che ne vengano permutate le radici; e questo mi ha fatto venire in mente che c’è un tipo di composizione poetica adatto allo scopo, la sestina lirica. È una canzone di sei strofe (più una chiusura), ciascuna delle quali composta da sei endecasillabi; le parole finali di ogni endecasillabo della singola strofa vengono opportunamente permutate per formare le strofe successive. La chiusura comprende tre versi, ciascuno dei quali contiene - nel mezzo e alla fine - due delle parole che chiudevano gli endecasillabi delle strofe. (Sì, anche questa roba ce l’abbiamo grazie a Dante). Insomma, lo schema è ABCDEF-FAEBDC-CFDABE-ECBFAD-DEACFB-BDFECA, più la chiusa finale.
La difficoltà compositiva risiede perlopiù nella scelta delle parole finali del verso.
Le sei strofe si articolano in tre temi, anche se sviluppano un unico discorso: la prima e la sesta strofa parlano del numero, la seconda e la quinta del mondo, la terza e la quarta d’amore. La chiusa finale è come la morale della favola: si fa perché ci vuole, e comprende di tutto un po’. 

E vedo un gruppo che in campo si muta
e il divagar d’un numero, giù, piano, 
e il rivoltar che invariato si forma
del prendere radici, tutt’insieme
sicché per caso tra i corpi si sente
il primitivo elemento del mondo.

È un fatto antico, stranissimo il mondo
che il numero ci fa, di lingua muta
e pur che tutto, pervaso, si sente
dentro lo spazio, sopra d’un piano
nell’aggrapparsi al concetto d’insieme,
nel reggere del cielo senso e forma

e quindi si rinchiude. Mi si forma
un colpo stretto d’amore del mondo
che me con queste leggi vuol insieme
e vuol di sé vedersi corpo e muta
mentre la vita gli passa, pian piano,
fin dove la sua forza se la sente;

e quale amor si grida, dice e sente,
ed or è contenuto, e quindi forma,
improvvisato adesso, oppure piano
per far del caos dolcissimo al mondo,
voce narrante d’accolita muta
che alfin si sogna di vivere insieme.

E malridotto, costretto d’insieme,
vedo ed osservo, per come si sente
e come si presenta, vivo, muta
pur trattenendo di sé questa forma,
nei numeri l’usato, amico mondo 
ch’è liscio, squadernato, vòlto e piano

e il numero lo narra, lento e piano 
e, dice, si fa classe, gruppo, insieme,
sì quasi che del corpo fosse mondo;
ma in calcoli si finge, lo si sente
sconvolgere la terra; e qui la forma,
la vede, la descrive, poi la muta.

Parola, tu che piano ti fai muta
raccontami l’insieme di quel mondo
che d’algebra si sente peso e forma.

mercoledì 5 luglio 2017

Il Transfinito

IL TRANSFINITO
(Giacomo Leopardi si emenda dopo aver letto Odifreddi)
Sempre caro mi fu quest’ermo Cantor:
e quest’insieme, che già tanta parte
finita di se stessa in sé conchiude.
Qui, sedendo e contando, interminati
spazi al di là di questo, e sottinsiemi
già propri, idempotenti li vedo
e nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il senso
vedo cercar sopra ‘l continuo, io quello
infinito soggetto ai naturali
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e Zermelo, Peano, ed i presenti
assiomi e il suon di lor. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar s’è fatto aleph con zero.

martedì 4 luglio 2017

Il lunedì del Villaggio

Il lunedì del Villaggio
(in morte di Paolo Villaggio, 3 luglio 2017)

E la Silvani vien sacramentando,
in sul calar del sole,
a darti del merdaccia; e reca in mano
un mazzolin di rose e di viole,
onde, siccome suole,
ornare ella si appresta
dimani, in Megaditta, il petto e i crini.
Siedi, con il Filini
ne la sala a rimirar col Riccardelli,
incontro là dove si perde il giorno;
e novellando perdi il tuo buon tempo.
La Corazzata un dì poi s’ammirava:
cagata fu, pazzesca,
e qui plaudì l’ardire intra di quei
tanti colleghi, nessun più ne esca.
Già tutta l'aria imbruna,
torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
giù da' colli e da' tetti,
al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno:
la partita che viene;
ed a quel suon diresti
che il cor si riconforta.
Peroni sorseggiando
e la frittata in piatto,
un tifo indiavolando
forma un lieto romore:
ma pur si storna alla sua parca mensa,
ruttando, il ragioniere,
e mai saprà chi l’avrà fatto, il palo.
La Serbelloni è corsa, dal riparo:
Che faccio, Capovaro?
Vadi contessa, vadi, la si prega!
s’incozza la bottiglia
da metri trentadue, poi più centrale,
e s’accetta, e s'adopra
di mozzar diti al clero in verso all’acqua.
In gita lagunar tu fosti un giorno,
pien di stima e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l'ore, ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Ragioniere scherzoso,
cotesta età fiorita
è nube sempre ricca di sorprese,
accento pur svedese,
che precorre alla festa di tua vita.
Batti, sì, batti lei; stato soave,
e, come, troppo umano.
Altro dirti non vo'; ma la tua festa
ch'anco tardi a venir non ti sia grave.