giovedì 15 ottobre 2015

Altri emisferi

La mattina comincia con dei disturbi percettivi.

Gita alla Selva di Fasano in macchina con mia mamma, lei guida e io dico buca, buca con acqua. A un certo punto c'è un animale morto sulla strada.
"Oh, un gatto, poverino."
"Era una volpe."
"Con quelle orecchie a me pareva un gatto"
"Con quella coda? Era una volpe."
"Una volpe di quel colore grigio?"
"A me pareva rossiccio"
"Beige"
"Beige"
Animali misteriosi muoiono sulle strade di Puglia.

Arriviamo a destinazione e parcheggiamo. Fa un certo fresco, pioviggina, insomma quel tempo che comunica direttamente alla vescica e ti impera di trovare un bagno.
Ci fermiamo a un bar, ci sediamo a uno dei tavolini fuori, comunque siamo al riparo dalla pioggia, e ordiniamo un tè caldo (per me) e un espressino caldo (per mammà). Vado subito in bagno, prima che sia troppo tardi, e quando esco non c'è più mia madre al tavolino.

La vedo invece seduta a un altro tavolo insieme a una anziana signora.

"La signora è australiana e ha chiesto se possiamo fare un po' di conversazione."

Conversazione, penso io.

Mamma.

Conversazione con una persona sconosciuta, così, all'improvviso, su temi che non conosco, senza essere stata avvertita prima, mi colgono proditoriamente all'uscita del gabinetto, io pensavo di potermi rilassare, non ho nemmeno avuto tempo di prepararmi.



Poi penso che la signora è australiana. 
Quindi dovrò anche parlare in inglese.


Mi siedo, mi aggrappo alla tazza di tè, mi presento, shish, ho quella sensazione tipica e caratteristica di quando devo parlare con qualcuno facendo small talk, il cervello che lentamente si chiude, ti sembra di vederlo, un grumo di materia grigia e sorda in cui bivaccano manipoli di neuroni pietrificati, non riesco nemmeno a pensare oh povera me, oh Lord please don't let me be misunderstood.

La signora è in gita in Italia con un gruppo di altri anziani australiani, oggi il resto del gruppo è andato a Matera e lei è rimasta a Fasano perché non ne può più di vedere chiese e rovine, chiese e rovine, chiese e rovine.

Che si aspettava l'Australiana, cazzi e canguri, ma non dico nulla.

(pochissimi i canguri.)

Per fortuna mia mamma regge tranquillamente la conversescion e fa delle domande alla signora, e la signora fa delle domande a mia mamma e poi anche a me, e io rispondo, con la lingua impastata e il cervello sempre rigido e fermo. Mi verrà un attacco di asma? Non mi viene. Bevi il tè che passa tutto. Bevi. 
Poi del resto io non soffro di asma. Potrebbe venirmi un infarto.
Una angina pectoris.
Un aneurisma dissecante dell'aorta.
La signora chiede a mia mamma se ha altri figli oltre a me. "No" dice mia mamma.
"Oh, io ho due figli maschi. Mi sarebbe sempre piaciuto avere una femmina. Ho anche dei nipoti, ma non sopporto i bambini".
Forse questa signora australiana non è poi così male.

"Dispiace se fumo?"
"Nessun disturbo" diciamo noi.
"Sapete dove posso comprare un posacenere come questo?" chiede, riferendosi a quello che sta sul tavolino del bar.
Traduciamo al cameriere.
Il cameriere gliene regala uno.
L'anziana australiana bacia il cameriere.

Continua la conversazione, cioè, credo, ci sono la tizia e mia mamma che chiacchierano e io di tanto in tanto dico delle cose cercando di inserirmi quando mi pare di stare zitta da troppo tempo.
Morirò, lo sento.
Il tè è anche finito.
Forse potrei mettermi in bocca le fettine di limone.
E se poi mi viene acidità di stomaco?
Le lascio lì.

La signora ringrazia che le abbiamo fatto compagnia, intanto ci ha parlato del suo defunto marito, dei suoi viaggi in camper, del fatto che Bangkok è sporca e di sua sorella che a 75 anni lavora ancora, mentre lei a 73 no, e chiede se anche in Italia si mangia l'agnello. Poi ci salutiamo e se ne va.

Paghiamo le nostre consumazioni e facciamo due passi, nonostante la pioviggine (drizzle), io canto delle canzoni per riprendere contatto con me stessa e ripristinare il mio equilibrio interno, delle canzoni della mia infanzia, la bella pallina fuggita di mano oscilla vicino oscilla lontano. Cantare funziona. Potevo mica farlo mentre c'era la signora australiana. Chissà se conosce gli AC/DC? Non sembrava tanto più vecchia di Angus Young, per dire. 

Torniamo alla macchina.
"Guida" mi dice mia mamma, infliggendomi la definitiva pugnalata alle spalle della giornata. Cioè, io ho la patente, è stato uno dei traumi della mia vita, so guidare, ma non guido mai, è terribile, la macchina fa delle cose e poi ci sono anche le altre persone che fanno delle cose e non sempre sono prevedibili con largo anticipo, non è che te le comunicano scrivendo, che allora le capirei.
"Guida" ripete mia mamma, visto che io sono verdolina e tentennante.
"Devo?"
"Ma sì, fai un giro qui nel parcheggio."

Un giro nel parcheggio posso affrontarlo, penso. Premi la frizione, accendi la macchina, molla il freno a mano e metti la prima, parti. Faccio un otto nel parcheggio.
"Ho fatto un otto nel parcheggio" dico, con lo stesso tono di Dustin Hoffman in Rain Man quando dice "Sono un ottimo guidatore".
Che poi non era nemmeno un otto, era uno zero deforme.

Rimetto la macchina tra le strisce bianche, peraltro dritta, torno al sedile del passeggero e ce ne andiamo a casa, e io dico buca, buca con acqua.

Oggi pomeriggio mi prendo un bicchiere di grappa e poi mi metto a letto malata.


lunedì 5 ottobre 2015

La farmacia

Farmacia. Non la solita, che è chiusa per ferie, un'altra. Siccome c'è un po' di gente mi metto pazientemente ad aspettare che uno dei farmacisti si liberi. Mi preparo già con la ricetta e la tessera sanitaria e le uso per sventolarmi, giacché pare mica, ma fa caldo. Entra di lì a poco una anziana megera, le molli braccia burrose e trombotiche che traboccano di ricette, e mi passa davanti.

Le faccio gentilmente osservare: "Signora, qui tutti fanno la fila"
La vecchia scuote i bargigli stupita: "Ma no, qui non si va con la fila, quando si libera un posto si va" (naturalmente non me lo dice in modo così lineare: agglutina monconi di parole, li accatasta a prescindere dal loro posto sintattico)
La fisso per un istante con uno sguardo da videocassetta di The Ring e, mantenendo un encomiabile sussiego, ribadisco: "Ma io sono entrata prima di lei"
Al che la signora, scuotendosi tutta e sommergendomi con il fruscio delle sue ricette, se ne esce con: "Ah ma io l'ho vista qui e pensavo che stesse leggendo"

Immagino di avere un aspetto particolarmente intellettuale e blasé dal quale traspaiono le mie innumerevoli letture, ma porco di quel mondo che ruota incolpevole sotto i tuoi maledetti piedi di vecchia rincoglionita, secondo te una persona si mette in piedi in farmacia a leggere?
Che fai oggi pomeriggio? vieni a leggerti un libro in farmacia? No guarda, pensavo di andare al supermercato a farmi una nuotata.

Per cui rispondo.
"No, non stavo leggendo."
"Ah, capisco" (sempre agglutinando eccetera)
E si piazza sul bancone con la sicumera disperata di un ubriaco all'ultimo stadio, ripassandomi davanti se mai le fosse venuto in mente di accodarsi com'era giusto che facesse.
"A chi tocca?" fa la farmacista, che giusto in quel mentre si è liberata.
"A me" urlo, lanciandomi sul banco e atterrandovi sopra come un rugbista sulla linea di meta.
Mica s'è spostata, la vecchia. Ho dovuto brancicare la confezione di farmaci e pagare a fatica facendomi largo tra le sue molli braccia e le sue ricette.



P.S. Quella della lettura non è la scusa più bizzarra che io abbia sentito. Una quindicina di anni fa in ospedale un tizio cercò di saltare la coda dicendo "Sono andato a scuola col fratello di Giovanardi".