domenica 28 marzo 2021

Sonetto dell’ultima stanza

Qui proseguo con i miei sonetti sui paradossi.

Il paradosso dell’albergo di Hilbert

Sonetto dell’ultima stanza


E poi ci troveremo tutti, forse,

forse di più; davvero: cosa importa?

Staremo qui, davanti a questa porta,

al termine di mille vecchie corse,


milioni e infinite, con le borse,

con i bagagli vissuti di scorta

per chi soggiorna e poi per chi sopporta

l’attesa delle ulteriori risorse.


Ci sono stanze ancora, ci vien detto,

nell’infinito spazio dentro i muri,

nell’infinito numero; l’alieno


pensiero illimitato, il suo concetto,

fa sì che oltre la conta perduri,

e resti un vuoto dentro a questo pieno.


giovedì 18 marzo 2021

La battaglia dell'Ultima Piuma

 La Battaglia dell'Ultima Piuma

Vorrei cantar quel memorando sdegno*
che incorse un dì di marzo in Pordenone:
fu quando, nello spasimo d'impegno
contrito nella mira, un gran cannone
(o un qualche non dissimile congegno
che poggia sui blindati) fu ragione
d'un barbaro ed insolito bel guaio:
ché si sparò, nel buio, su un pollaio.
I militi, vagando per l'oscura
e rorida campagna friulana,
s'esercitavano senza paura:
e, qui bisogna dire, con nostrana
disabitudine incauta alla cura.
Un colpo, dirozzato alla lontana,
scagliato senza l'ombra di un acume:
e furon chiocci strepiti di piume.
Immaginatevi, dunque, lo dico:
un muro che barcolla e poi si sfonda,
un muro solido, limite antico
d'un'altra più gentile baraonda;
ed il pollame ignaro del nemico
che vede il proprio sangue e quanto gronda
e non sa dirci del come e il perché,
e muore sillabando un coccodè.
[...]


La storia è questa ed è degna di un poema eroicomico in ottave alla Alessandro Tassoni.

*Non a caso, è il verso iniziale de La secchia rapita.

venerdì 5 marzo 2021

Sonetto sanremese

 Una canzone nel vuoto

(sonetto sanremese 2021)


Un suono, da se stesso in sé sospinto,

incoccia, dritte e storte, le sue note

e vola poi tra le bocche: devote

al tempo mai cambiato e sempre estinto,


in questo immarcescibile recinto

delle parole vicine e remote,

e delle orecchie e delle sedie vuote,

e sembra vero ancora, e quindi finto.


E canta già dal buco del proscenio,

e prende il vuoto e tutto lo perfora,

s’infiora, danza, poi sveste la quiete,


e canta: come l’urlo senza genio,

come la nenia che vive e rincuora,

come il racconto che dice e ripete.