mercoledì 17 maggio 2017

Darwin, Einstein, Freud

...che non è il titolo del prossimo libro di Hofstadter, ma sono tre sonetti dedicati a tre autori che hanno cambiato il mondo.


DARWIN
Generazioni esauste, vi si vede
nel corso multiforme della vita,
nel far di speciazione la partita
che in questo mondo ha posto senso e sede.
Per selezione così si richiede:
è variazione sì bella, infinita,
che volle questa o quella favorita,
e foste predatori e foste prede;

e foste chi gamete, ed altri spora,
solo al mutare voi foste fedeli,
spartiti da un comune genitore.
Comincia questa vita dall’errore,
si cambia la frequenza degli alleli
e tutto si rimuta e vive ancora.

EINSTEIN
Pensiero nella mente si sconquassa,
pensiero in cui s’immerge la natura:
d’identità sostiene la fattura
d’inerzia e gravità, quale s’ammassa
nell’universo intero, e tutto passa,
così vuol che si mostri finché dura.
E muta si promana curvaura
di spaziotempo dotato di massa:
d’un’equazion di campi si conviene
che metrica designi; curve e mondi,
sistemi ed osservati, osservatori
cui l’universo inerte si mantiene,
e qui par che la mente si sprofondi,
e subito s’innalza ai suoi tremori.


FREUD
S’è schiuso l’occhio, pigro inquisitore,
sui fatti dell’inconscio che si pensa;
sulle pulsioni il corpo si raddensa,
della morale interroga il valore.
Di soluzioni confuso esattore,
si domina, si scorna nell’intensa
interna lotta infame, sempre immensa,
e seguita a cercarsi, ama e muore.
Son totem, e tabù, e fissazioni,
impulsi sublimati e poi furiosi,
ed intenzioni crude, spesso ladre;
e poi son solamente rimozioni,
e dure, impudicissime nevrosi,
e vita e sogni. E taccio della madre.

mercoledì 3 maggio 2017

La stipsi d'Ermengarda

La stipsi d’Ermengarda

Scosse le chiappe morbide
sull'affannoso peto,
lì sulla pelvi, e ruvida
la pelle in quel segreto,
siede la pia, col tremolo
foro cercando il ciel.
Cessa il compianto: unanime
s'innalza una preghiera:
calata in su la gelida
tazza, una man leggiera
sulla superba natica
stenda di carta un vel!
Ahi! nelle insonni tenebre,
pei bagni solitari,
nel gran penar dei visceri,
ai supplicati altari,
al defecar tornavano
gl'irrevocati dì;
quando ancor cara, improvida
d'un avvenir mal fido,
ebbra posò le livide
terga sul sacro lido,
e senza l’agre coliche
invidïata uscì:
or va, col volto cereo,
il bianco cul sudata,
volendo all’acque scorrere
la cacca affaccendata,
ma china in tal ceramica
si vede il suo patir;
mai dietro a lei la furia
di penduli fumanti;
e lo sbandarsi, e il rapido
redir dei fianchi ansanti;
né può dai magri triboli
l'irto prodotto uscir;
né la battuta polvere
rigar di sterco, colto
d’intestinale spasimo.
Alle sue terga il volto
repente volge, pallida
d'amabile terror.
Oh Mossa errante! oh tepidi
lavacri d'Aquisgrano!
Ove, deposto l'orrido
l’ascoso deretano,
scendea del culo a tergere
il nobile sudor!
Un dì, rugiada al cespite
dell'erba inaridita,
fresca negli arsi calami
fe’ rifluir la vita,
che verdi ancor risorgono
nel temperato albor;
Quale pensier! Per stipsi
nel far di più fatica,
le manca il refrigerio
perfino alla vescica,
e il cul si svelle ai tremiti
patendo d’altro afror.
Ma come il sol che reduce
l'erta infocata ascende,
e con la vampa assidua
l'immobil aura incende,
risorti appena i gracili
steli riarde al suol;
ratto così dal tenue
ch’è lume intestinale
torna a dannarsi l'anima
e spinger le fa male,
e le sviate immagini
richiama al noto duol.
Sgombra, o gentil, dall'ansia
quel ventre che s’imballa;
leva all'Eterno un candido
pensier d'offerta, e falla:
nel suol che dee le tenere
tue feci ricoprir,
altri escrementi giacciono,
che il duol consunse; orbati
da sforzi gli occhi, e viscere
indarno stimolate,
terga che alfin si videro
trafitte impallidir.
Il perieneo ti geme
per l’aspra ormai discesa,
cui fu prodezza il numero,
cui fu ragion l'offesa;
e poco il sangue, gloria
di tal fragilità;
sì ti costrinse ragade,
sventura in fra gli oppressi.
Falla, stavolta, e placida;
scendi a goder nei cessi:
alle incolpate viscere
nessuno insulterà.
Spingi; e la faccia esanime
si ricomponga in pace;
com'era allor che improvida
d'un avvenir fallace,
lievi pensieri stitici
solo pingea. Così
dalle squassate natiche
si svolge il patimento,
e sulle gote imporpora
alfine un godimento.
Al pio colon l’augurio
di più sereno dì.


Elena Tosato e Alessandro Manzoni, 3 maggio 2017