lunedì 9 luglio 2018

Un'oretta

Mi telefona mio padre dalla montagna. Mio padre va spesso in montagna. "Sai dove sono stato oggi? Al rifugio Tre Scarperi. Ti ricordi il rifugio Tre Scarperi?"
E io mi ricordo, sì, mi ricordo. Mi ricordo che avevo otto anni o nove, e mio padre aveva portato me e un mio amico d'infanzia su al rifugio Tre Scarperi, in un volenteroso quanto inutile tentativo paideutico di farmi amare la montagna, a me la montagna piace solo quando canto i cori di montagna di ritorno dalla montagna con la prospettiva di stendere i piedi e riposarmi a casa mia in pianura, e la montagna poi mi fa tanto sanatorio di Davos, incanti, magie, guerre e tisi, insomma, ci portò su noi due bimbi tutti attrezzati e ordinati al rifugio Tre Scarperi. Il mio amico chiacchierava e faceva la radiocronaca della gita, mio padre guidava la spedizione, io meditavo sui massimi sistemi, non dico come quella volta anni dopo quando mi fece fare le gallerie del Pasubio e avevo l'unghia incarnita sia di qua che di là, e anche quel po' di claustrofobia tenuta a bada dai sensi di colpa perché ne erano morti a manciate dentro alle gallerie del Pasubio anche solo per scavarle mentre gli austriaci gli sparavano addosso; ma meditavo, ho sempre meditato molto anche da piccola, e guardavo le rocce, la vegetazione, l'aria limpida, un passo dietro l'altro, e risparmiavo il fiato solo per chiedere "Papà quanto manca?"
E mio padre s'inventò una misura del tempo plastica e proteiforme, un orologio molle di Dal gestito a parole, e disse che mancava un'oretta, e il tempo passava e mancava ancora un'oretta, e sempre un'oretta, e di nuovo un'oretta e questa cazzo di oretta del tempo perduto che meno male che non avevo ancora letto Proust. Che, infatti, andava al mare.
Poi arrivammo al rifugio, mangiammo, aspettammo -altre orette- che venisse sera e andammo a dormire in questa camerata spartana e ruvida come le cose di montagna, vi giuro che d'ora in poi leggo tutto Rigoni Stern ma fatemi riposare, e io non chiusi occhio perché c'era un altro escursionista che russava, però c'erano i letti a castello e, lo confesso, fu bello davvero.

domenica 8 luglio 2018

Sonetto anticolinergico

Sonetto anticolinergico

O spasmo, che durata aver perenne
minacci, giù strizzato nella pancia!
Cruento, quasi come quando in Francia
il fronte rantolava sulle Ardenne,

t'osservo e mi lamento; e pur indenne
io spero di sfuggirti. Qui si lancia
la voglia, qui la lingua già s'aggancia
al farmaco chiamato già per Enne

butilbromuro di scopolamina,
l'afferra questa gola, giù nel ventre
lo bramo, tormentato da quel crampo.

Compete già con l'acetilcolina;
ed io mi rassereno, in fra quel mentre

dal ruglio intestinale mi dà scampo.