Sto scrivendo un poema in 32 canti in terzine sulla fisica (e anche un po' sulla matematica se no si offende). Un progetto, come si intuisce, del tutto modesto e privo di complicazioni tecniche e teoriche, che farà indispettire i fisici perché mischio la scienza con la poesia e i letterati perché mischio la poesia con la scienza. E avranno ragione entrambi! Mi piacciono le imprese disperate.
Qui metto un assaggio dell'opera.
Qui metto un assaggio dell'opera.
Dopo i primi quattro canti di matematica, metodo e statistica, eccomi a camminare su un misterioso declivio ove incontro nobili e notissime figure con cui m'intrattengo sulla cinematica.
Canto V
Comincio ignoti a muovere dei passi
per una lunga, dolcissima china
che ultima mi pare che s’incassi 3
in una grigia e spumosa cortina
di nuvole e di nebbia, sì che quasi
fatico a indovinare la mattina. 6
Vedo che spicca da infime basi
e ad angolo s’inerpica costante
e che i miei piedi vi scorrono rasi: 9
attrito ve n’è poco, ma bastante.
Oggetti la percorron, rotolando
sempre forzandomi a starne distante 12
affinché non inciampi, calpestando
dei corpi la gran torma. Non capisco
che succeda; mi volto e vo scalando 15
ancor quel sottilissimo pietrisco
che sotto il rotolar s’è manifesto.
E giunge a me - lo vedo e trasalisco - 18
un uomo d’altri mondi. Con un gesto
in cerchio muove, poi torna agli equanti.
“Io son colui che scrisse l’Almagesto” 21
dice solenne e si pone davanti
ai passi che conduco per la strada.
“Astronomo fui già, senza rimpianti. 24
Partir ti lascio, ma prima che vada
ti chiedo che ritorni questa sera
con me a guardare sì come s’aggrada 27
l’ordine imposto alla celeste sfera
da Keplero e Copernico”. Qui tace
e un attimo soltanto si dispera. 30
Prometto di tornare e vado in pace,
tanto marciando per l’aspra salita
che alfin di proseguir non son capace. 33
Ma mi soccorre l’anima perita
d’un tale che si dice alla ricerca
d’una sua opra che teme smarrita, 36
e molto si lamenta e molto alterca.
“È un’opera sul riso” e si rigira
tutto scrutando “Commedia noverca 39
d’un altro libro che altrove si ammira.
Parea che fosse qui, ma l’ho perduta.[1]
Vieni da lungi? Io son di Stagìra.” 42
“Credo di non averla mai veduta”
dico dell’opra, “Forse fu tra quelle
che ho visto rotolar in mia venuta. 45
Dimmi, maestro dell’anime belle:
qui, dove sono? Ch’è mai questo posto?
Che fai con quel cantore delle stelle 48
ch’è Tolomeo?” Così s’è disposto
Aristotele a dirmi: “È la via
che dal nostro passato mena tosto 51
al tempo tuo presente. Così fia
ch’io qui mi trovi, e tanto mi diletti
a raccontarti di filosofia. 54
Guardiamo rotolare questi oggetti:
del moto m’occupai, in un tempo dato.”
Parla di divenire, dei concetti 57
di forma, privazion, e di sostrato;
e d’infinito, d’atto e di potenza.
Altro mi dice il piano ch’è inclinato: 60
che l’accelerazion sulla pendenza
dall’angolo dipende e dal suo seno,
e ancora che c’è molta differenza 63
se il piano si compone scabro o meno,
e in che modo l’attrito ch’è radente
al punto che vuol muover mette il freno. 66
Mi torna allora imperioso alla mente
quel ch’è dei moti dei corpi lo studio
“Tutto rallenta, sì, spontaneamente” 69
dice Aristotele. Io lo ripudio,
parlo d’inerzia, poi del movimento,
di quel che fu della storia il preludio 72
e fonte di teorico tormento:
di quanto sia, lo dico, cruciale
scegliere un punto di riferimento. 75
Veniamo a raccontarci, ed è normale
di moti rettilinei nell’aria
e in terra; del vettore tangenziale, 78
del moto ch’è periodico e la varia
frequenza ch’è di pendoli e di molle.
Studiamo che cos’è la legge oraria, 81
la matematica che vi ribolle
ardente, immaginifica e nascosta,
che sola si può amare d’amor folle. 84
D’ogni domanda chiediamo risposta,
fin ch’è il meriggio e poi il sole declina
e vicino il Filosofo s’apposta 87
e piange e dice: “Qui già si rovina
quale del mondo io feci disegno
non v’ha ch’io possa risalir la china.” 90
Mi mostra con un dito e mi fa segno
ancor la nebbia che avvolge lontano
la cima. “Pur, non mi mancò l’ingegno 93
d’intendere la fisica. L’umano
è un genere fallace, ed io quei crismi
d’umana sorte ho tutti nella mano, 96
qual sono in mano al fato i cataclismi.
E quindi anch’io fallace sono” sbotta,
“ma almeno mi ricordo i sillogismi.” 99
Vedendo che di nuovo quasi annotta
alla memoria torna la parola
data al mattino. “Tu, anima dotta” 102
bisbiglio ad Aristotele “da sola
nessuno mai potrà lasciarti”. Vado,
ma al buio tosto inciampo in una stola. 105
Vo a ridestarmi, vacillo, ricado.
M’alzano in piedi due braccia possenti,
riluce nella notte sguardo brado 108
di turbinosi occhi impenitenti.
È un chierico, or lo vedo, ed è dottore,
è gesuita d’altissimi intenti. 111
“Tornare giù non puote.” Lo stridore
della tonante voce m’atterrisce,
strugge le membra un penoso madore, 114
e il guardo ancor temibil concupisce
quel che a lui sembra pensiero impudìco.
Con garbo inaspettato mi blandisce 117
e lesto mi rassetta. “Qui ti dico
che insieme a me tu devi risalire.
Fui del Nolano l’eterno nemico 120
e d’altri ancora.” Rimango a sentire.
“Ma adesso non temermi, ché altro faccio.
Pur se ancor m’è dato d’obbedire, 123
altro è il mio compito.” Tremo, ma taccio.
Allora mi racconta e m’accompagna
ed io lo seguo con minimo impaccio. 126
“Sorge alla fine di questa campagna,
ch’è al di là delle nebbie e questo monte,
una cittade ove ognor si guadagna 129
di conoscenza inesausta la fonte.
Ti scorterò alla porta, ma più oltre
andar dovrai senza di me. V’è un ponte 132
che oltrepassar non posso.” Già la coltre
di nubi si dirada. Vorrei porre
domande e non ho voce. Come inoltre 135
provo a volgermi al compagno e proporre
mute questioni con gli occhi, paura
m’uccide. Di lontano c’è una torre, 138
or la vedo, magnifica ed oscura
nella notte. C’è un uomo sulla vetta.
“Ivi è rimasto, anche dopo l’abiura” 141
stride il cardinale, ed in gran fretta
silente mulinando è già disperso,
e poco val che gli gridi: “M’aspetta!” 144
Scalo la torre e m’arrampico verso
l’uomo che vive di fatti e di prove,
che legge da una lente l’universo. 147
“E questi son satelliti di Giove”
mormora lento di Pisa il figliolo
colto dal flusso d’idee sempre nuove, 150
e un occhio tiene al cielo e l’altro al suolo:
or meraviglia di stelle soavi,
pei massimi sistemi spicca il volo, 153
or volge il guardo a terra e lancia gravi.
Di visitar la rocca poi mi chiede,
dice “Qui troverai gl’immensi savi 156
che tutti fûr progenie d’Archimede,
nelle cui menti il segreto s’aduna
del cosmo intero”. Lasso alfin si siede 159
le stelle rimirando ad una ad una.
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[1] Il saggio qui dimostra buona cosa: / anch’egli lesse Il nome della Rosa
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