Otto anni fa casa mia andò a fuoco.
Era una notte d'estate e noi non c'eravamo. La bottega delle carni che esercitava al piano terra venne devastata da un incendio; le fiamme lambirono i solai e il fumo entrò nelle stanze del primo piano, dove abitavo con mio padre, attaccandosi alle pareti e impeciando tutti i libri della biblioteca - all'epoca circa duemila, o giù di lì. Cose che succedono, dal rogo della biblioteca di Alessandria a Fahrenheit 451 di Bradbury, ma che avevo sempre pensato che se non fossero toccate anche a me sarebbe stato meglio.
Insomma, non sono mica Pepe Carvalho.
(Comunque, a scanso di equivoci, i libri si salvarono. Affumicati, ma vivi.)
Vado quindi a parlare di due personaggi che muoiono tra le fiamme della loro biblioteca: il monaco Jorge da Burgos ne Il nome della Rosa di Eco e il sinologo Peter Kien in Auto da fé di Canetti. Due personaggi diversissimi accomunati soltanto dall'arrosto finale, dal difettare di qualche rotella e dal fatto di appartenere a due libri che ho amato molto.
Perché ne parlo oggi? Perché sono qui, seduta nello studio di casa, due pareti su tre piene di libri (alcuni dei vecchi, ripuliti, molti nuovi), e ho il sospetto che se metto il naso là fuori troverò un mondo che considera i libri alla stregua di un prodotto di consumo, un grazioso gadget confezionato dagli editor ad uso di un pubblico omogeneizzato, un veicolo anestetizzato per un viaggio di piacere mercenario, non certo e non più un mezzo per scavare nel mondo a unghiate, ma la musichetta di sottofondo della telefonata di un call center... l'avverarsi dell'incubo delle macchine scrivi-romanzi del Reparto Finzione di orwelliana memoria, tanto per restare nel letterario e nell'ottimismo.
E allora penso che nella loro orribile e volontaria fine ai due custodi di libri Jorge da Burgos e Peter Kien almeno è stata risparmiata la pena di assistere a tutto questo, che è lo strazio di ogni bibliofilo. I libri sono bruciati prima che il loro concetto potesse essere neutralizzato, banalizzato, reso sterile dal vociare dei lettori sporadici.
Per la cronaca, dall'incendio di casa mia riuscii a portar fuori, nell'immediato, alcune cose. Due pentole e quattro piatti, delle posate; e qualche vestito, tra le quali una camicia di seta, perché si può essere sfollati con una certa dignità. E poi I sommersi e i salvati di Primo Levi, che è uno dei libri più istruttivi che abbia mai letto sull'umanità.
Vaglielo a spiegare, adesso, che i buoni libri sono tutti sommersi.
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