lunedì 12 marzo 2012

Chopin

I palazzi sono raccolti in cerchio sopra a un cortiletto fatto a spicchi: a ciascuno la sua fetta di giardino. Dirimpetto al condominio dove abita mia madre, all’ultimo piano, vive una coppia di anziani, di quelli che sono stati insieme per tutta la vita, tanto che alla fine camminano allo stesso modo, vestono allo stesso modo, respirano allo stesso modo, e i lineamenti si incrociano, si sono scambiati un po’ della faccia durante gli anni.
I due li riconosci perché indossano sempre un impermeabile beige, come l’ispettore Derrick. Camminano vicini, curvi, non salutano nessuno, parlottano tra di loro. Lui è un vecchio musicista, ha insegnato pianoforte. Adesso non insegna più, ma suona ancora, tutti i giorni, verso sera si mette al pianoforte e suona. Un’ora, all’imbrunire, così. C’è molto Chopin nel suo repertorio. Suona bene.
Io vado lì d’estate e la finestra resta aperta e la musica scende nel cortile.

Una sera la finestra è muta. Anche la sera dopo, e quella successiva. Nei giorni a venire vediamo solo lei, che va e viene da casa, come un insetto industrioso, testa bassa, aria bianca, dritta per la sua strada. Lui ha avuto un ictus. Quando torna dall’ospedale è dimezzato. Si è rimesso al pianoforte e per noi e per lui è una pena: esercizi strazianti per riprendere il controllo sulle dita, per suonare quello che nella testa è rimasto intatto ma per cui il corpo non risponde più. Allora si cimenta in accordi e scale, incertezze sul tempo, rabbia strozzata: il vecchio pianista non si fa mancare nulla. La frustrazione diventa dolore e viceversa.

L’estate successiva torno sotto le sue finestre. Tutto tace. Però lo vedo, di tanto in tanto, insieme alla moglie, tornare dal mercato, entrambi aggrappati al carrettino della spesa. Stesso impermeabile di Derrick, spalle un po’ più curve, senza salutare, solo bisbigli tra di loro, chissà che si dicono.
Una sera si rimette al pianoforte. Abbozza un paio di scale per sgranchirsi. Poi comincia a suonare, Chopin, ed è tornato lui. Le mani rispondono, la stanchezza non lo fiacca. Suona ininterrottamente un’ora, di tanto in tanto improvvisa qualcosa, poi torna a Chopin, sempre Chopin. Chiude con una polacca in cui ha buttato dentro l’intera umanità.

Qualche giorno dopo sono passati col camion a sgomberare l’appartamento, hanno portato via il pianoforte col resto dei mobili e le sere d’estate e Chopin. Ora i due sono in ospizio, o forse morti, chissà, nessuno ne ha più saputo nulla, però secondo me si somigliano ancora e hanno l'impermeabile, ovunque siano adesso.

© ET 2010, da una storia vera.

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