Doppio sonetto sulla dimostrazione di Euclide dell’infinità dei numeri primi
1.
Se i primi, sai, non fossero finiti,
potremmo allora prender tra di loro
quello maggiore. Si faccia tesoro
poi del prodotto dei primi riuniti
sotto di quello, per bene censiti;
e poi s’aggiunga uno, e gran lavoro
di divisione si conti tra il coro
di quei fattori già lì definiti.
Dei primi usati, nessuno divide
quel numero: c’è sempre un di resto.
È primo questo numero? Domande!
Che sia o che non sia, il tutto stride
col fatto d’aver preso, per pretesto,
uno che fosse dei primi più grande.
2.
Giacché se non è primo, si dimostra
che tra i fattori dovrà pur contare
un primo che tra gli altri non compare,
e ch’è più grande di quell’altra chiostra
di primi che avevamo in mano nostra.
Se poi risulta primo, bell’affare!
È lui il più grande! Ci tocca obiettare
che quello esibito in bella mostra
tra i primi che avevamo ben contati
non è il maggiore dei numeri primi.
E quindi infine ci siamo capiti,
e questi sono stati i risultati:
non c’è ragione umana che già stimi
che i primi siano meno che infiniti.
Nessun commento:
Posta un commento