Dunque, poesia.
Come più o meno tutti, sono stata introdotta alla poesia durante gli anni della scuola elementare, coi gabbiani balenanti in burrasca di Vincenzo Cardarelli, che me la ricordo ancora a memoria, era una poesia che cominciava così "Non so dove i gabbiani abbiano il nido, ove trovino pace" e io ero scattata su con la mia vocina petulante e avevo detto "in discarica", e con questo fine di Vincenzo Cardarelli.
Poi s'è arrivati a Carducci, vuoi che nel cursus studiorum dell'alunno manchi Carducci, e quindi via coi cipressi alti e schietti, che il cipresso è una pianta poetica, più avanti gli mettono sotto anche le urne confortate di pianto che a egregie cose il forte animo accendono, ma quello è Foscolo e quindi non c'entra coi cipressi alti e schietti di cui voglio raccontare.
Insomma, sta di fatto che ci sono questi cipressi in duplice filar che vanno da San Guido a Bolgheri, e il buon Giosuè ci passa sotto, e sapete come sono fatti i cipressi, sono alti (e schietti), gli ballonzola la cima nel vento, nel maestrale che soffia dal mare (e il mare ci urla e biancheggia, ma anche quella è un'altra poesia, andiamo avanti). E i cipressi vedono Giosuè Carducci e gli parlano, e lui dice che gli alberi gli spenzolano addosso e gli sussurrano delle cose, la poesia dice "Bisbigliaron vèr' me co 'l capo chino", e io lì, mi ricordo, andai in crisi, perché che cos'era questo verme col capo chino, me la fecero anche fare la parafrasi, "ver" vuol dire "verso", lo devi troncare per questioni di metro, così fanno i poeti, va bene, ma ormai il danno era fatto, e io ho passato l'infanzia vedendomi Carducci inseguito da un verme col capo chino, una specie di grosso lombrico afflitto che strisciava per la campagna con la testa reclinata in uno spleen incoercibile, che anche quello volendo era poesia, a modo mio, che poi mi viene un ghigno pio come il dì cadente tutte le volte che ci penso.
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