domenica 21 aprile 2013

Quell'ermo Colle


Siamo di ritorno da una serata al Petruzzelli in cui Antonino ed io abbiamo ascoltato Stefano Rodotà, il più acclamato rimpianto che io ricordi negli ultimi tempi, discutere di diritti e di parole come libertà, uguaglianza, fraternità e dignità. Nel frattempo Napolitano veniva rieletto al Quirinale, una manovra del Parlamento per salvare il salvabile, o più probabilmente per salvare se stesso dal significato di quelle parole.

Di Rodotà alla presidenza della repubblica si era già cominciato a parlare un anno fa, prima che Grillo si accorgesse della sua esistenza e prima che le quirinarie, con meccanismi oscuri e con un numero di voti imprecisato, ne subordinassero la scelta a quella dei rinunciatari Gabanelli e Strada.
C'è un'intervista su Left dello scorso 21 luglio allo stesso Rodotà che invito tutti a leggere: si chiama "Svegliati sinistra" e dice cose antiche e belle tanto da poterci costruire seriamente un’ipotesi di futuro: la si trova qui.

Sul suicidio del PD c'è poco da aggiungere, credo, a parte una residua carrettata di schifo.
Un partito decente, considerando che Rodotà era anche un pezzo nobile della sua storia, l'avrebbe proposto in prima istanza senza aspettare che lo scoprisse Grillo. Purtroppo non c'erano i voti per farlo: sono riusciti a bruciare Prodi, il padre fondatore che pure sulla carta aveva l'unanimità dei consensi, figuriamoci che avrebbero fatto con Rodotà. Bisogna solo vedere quanti voti hanno regalato a Grillo con questa genialata: temo moltissimi e temo anche che, per quanti saranno, non serviranno ad arginare il cupio dissolvi che li ha causati.
Bene ha fatto a quel punto SEL a continuare ad appoggiare il giurista; numericamente erano ininfluenti ma almeno hanno salvato la faccia. Per una volta avere una sinistra che non si spara sui piedi è quasi un evento storico. Chissà quando ricapita.

Intanto, mentre Berlusconi ride e la repubblica scivola - almeno per il momento, in futuro chissà - verso un presidenzialismo de facto, come da migliore tradizione aneddotica ci sono una notizia buona e una cattiva: abbiamo un anziano smodato che bada solo a salvarsi dalla galera e ignora i requisiti minimi del vivere civile e democratico, un urlatore col vaffanculo facile che parimenti ignora i requisiti minimi del vivere civile e democratico, qualche centinaio di astute faine pronte solo a vendersi al migliore offerente, un partito suicida con un tasso di idioti superiore alle più fosche previsioni di Cipolla, una buona fetta di personaggi genuflessi al Vaticano per convenienza più che per fede o forse troppo accomodanti con l'illegalità organizzata (la disgiunzione è inclusiva), zucche vuote che a malapena riescono a leggere e comprendere un testo elementare, arroganti e ingenui d'ogni sorta, e poi una manciata di persone perbene ridotte a pensare stizzosamente all'espatrio o ai sacchi di sabbia di fronte alla finestra. Perdonate lo snobismo che trapela inevitabile da queste parole, è una forma di autodifesa, si fa quel che si può. Questa era la notizia buona. La notizia cattiva è che il paese fuori dal palazzo, a parte per l'avere generalmente le pezze al culo, non è diverso da quello dentro al palazzo.

A tal proposito, restringendoci al campo degli esasperati irriducibili ed emendandolo per quanto possibile dal tifo da stadio, posso capire che molti in buona fede si siano aggrappati al M5S come ultima speranza, delusi da anni e anni di malversazioni e colpiti da una crisi economica, morale e di rappresentanza che sembra non avere fine; posso capire in queste condizioni che non vedano o non vogliano vedere i chiari segnali eversivi lanciati dai due guru e che preferiscano sognare una rivoluzione gentile che manda a casa disonesti e cialtroni e li sostituisce con la crema della società civile che finora è stata tenuta nascosta (nascosta molto bene). Sarà una forma di rimozione, di religiosità o di negazione, il supremo tentativo di non ammettere di essere stati buggerati ancora una volta. È umano. 
E disastroso.

© ET 21 aprile 2013

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