venerdì 12 aprile 2013

Come sovvenzionare pubblicamente l'omeopatia senza mandare all'aria il servizio sanitario nazionale

Poche cose mi irritano quanto il fideismo e la pretesa di spacciare le proprie opinioni (a meno che non siano le mie) per verità possibili anche quando sono fuffa conclamata.
Ci sono molte spiegazioni razionali per questo, per esempio il fatto che sono biochimicamente sensibile, che ho un elevato senso del ridicolo e che ho letto la Critica della ragione pratica in un periodo emotivamente permeabile della mia vita.
Detta caratteristica mi ha alienato le simpatie di molte persone religiose, dei creazionisti, dei complottisti d'ogni risma, di una buona fetta di chi ha votato due personaggi visceralmente populisti, degli ufologi, degli animalisti a oltranza, dei vegani che considerano vegan solo ciò che contiene tofu e non una semplice e appetibile pasta e fagioli ritenuta invece troppo etnocentrica, degli ontologi, degli amanti della musica unzi-unzi, dei pasdaran di Feyerabend e persino di qualche ammiratore di Mark Rothko (ma non tutti).

Stamattina, per completare l'opera e perché il calendario degli estrogeni è in posizione favorevole all'eccesso di verbosità e di stizza, ce l'avevo con gli omeopati.
E precisamente con questo articolo del blog di Guglielmo Pepe su Repubblica che incentiva la diffusione dell'omeopatia pagata dai soldi pubblici secondo la teoria che siccome tanti la usano perché la ritengono efficace, allora bisogna tenerne conto.
Alle repliche - civilissime - degli interlocutori l'autore risponde offeso a morte dicendo che l'omeopatia non è truffa, che gli allopatici fanno di peggio, che bisogna essere aperti, ka$taaaa.
Al momento c'è una sessantina di commenti. Riporto il mio:


Posso capire che l’epiteto di “truffatore” sia insultante, ma ventilare querele per chi ha definito tali gli omeopati non dice nulla sulla validità scientifica dell’omeopatia. Per gli amanti del genere, è quella che i logici chiamerebbero fallacia “ad baculum”, che fa degno seguito a quella “ad populum” utilizzata per giustificare la presunta validità dell’omeopatia, o almeno la sua dignità sociale, con il fatto che un sacco di persone se ne servono, e al “tu quoque” tirato in ballo quando s’è fatto presente che Big Pharma fa anche cose sporche.

Nel tentativo sincero di trovare un modo non offensivo per definire questa pratica, mi chiedo in che modo lo si possa fare tenendo conto dei seguenti fattori:
1. da un punto di vista teorico, l’omeopatia va contro nozioni elementari e acclarate di logica e di chimica: per esempio, senza nemmeno dover tirare in ballo il solito numero di Avogadro, ci si potrebbe domandare perché l’acqua dovrebbe avere memoria proprio della sostanza che vi è stata diluita fino a scomparire, e non anche di tutte le altre molecole con cui è entrata in contatto, a partire da quelle della boccettina che contiene il rimedio omeopatico
2. non esistono studi conclusivi in doppio cieco pubblicati su serie riviste peer reviewed (che non sono la Verità Incarnata, ma sono al momento lo strumento più affidabile di cui possiamo disporre) che dimostrino che i rimedi omeopatici hanno effetti statisticamente superiori al placebo, soprattutto in quanto sono usati per malattie che sono o autolimitanti (omeopatia o meno, in un individuo altrimenti sano l’influenza passa mediamente in una settimana) o a forte componente psicosomatica
3. talvolta vengono spacciati per omeopatici, ossia legati al processo di diluizione e succussione, prodotti che sono fitoterapici e quindi che hanno del principio attivo; si usa poi impunemente il fatto che i fitoterapici abbiano effetti scientificamente misurabili per inferire la presenza di tali effetti anche negli omeopatici strictu sensu, che non ne hanno alcuno
4. da un punto di vista economico, l’omeopatia è un grosso affare per chi la vende.

Ammesso poi che si voglia chiedere, sempre utilizzando la motivazione che “tanti la usano, ha dignità morale”, che se ne debba fare carico la sanità pubblica, mi chiedo secondo quale discrimine si dovrebbe impedire che il sistema sanitario nazionale rimborsi per esempio i viaggi a Lourdes.



Aggiungo infine la mia proposta, perché bisogna anche essere costruttivi. Sono favorevole a finanziare pubblicamente l'omeopatia, purché si tratti di una sovvenzione coerente con i principii dell'omeopatia stessa. Procediamo così: diamo  a un omeopata un centesimo di euro, gli diciamo di diluirlo in acqua una volta, di agitare bene la soluzione, di prendere una goccia di tale soluzione e di diluirla nuovamente e ripetere il procedimento per una trentina di volte. Alla fine gli potremo dire: "ora sei ricco".

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