martedì 21 febbraio 2012

Ode al cavolo cappuccio

Vista l'ora, sto spignattando. Questa è dedicata ai poeti che si prendono (troppo) sul serio.


O tu Brassica Oleracea dal nome ascoso
dall'ampie foglie serrate come un muscolo
io t'ho reciso e frammentato con una cruda lama
e sminuzzato in tegame col sangue d'oliva
e scaglie rarefatte di sale marino.
Cuociti, soffocando lento su quella fiamma che fu di Prometeo
e che ora dispensa un monopolista di idrocarburi;
e renditi morbido e amabile al gusto.
Sai che in queste mura
io sola t'amo, Lui ti rifugge preferendoti altra verdura
quieta la bieta, iconico lo spinacio
al più di malavoglia l'affine verza.
Cuociti, e io che ti cossi potrò dire
"tu buono, tu salubre, tu placido
cavolo cappuccio
che hai sconfitto la suzione della ventola
appestandomi l'intera cucina!
sii almeno favente d'amene digestioni
e inondami le membra di fibre e vitamine"
Sol ti manca, a cottura finita
un'inclinazione alle spezie.
E allora venga il pepe a farti gloria.
Ah! ma che vedo?
Mendace fu il Tempo, ancora una volta!
E lì nel tegame, tra muri d'acciaio,
colto da improvvida idropisia vegetale
stracotto è il tapino!
Mal si conviene che sia così molle,
ma purtuttavia al palato non nuoce.
Che fare? O, Tempo tiranno, o Acqua d'eccessivo bollore!
Vinto tu sei, Cavolo, dall'indomito vapore,
quasi metafora dell'Era moderna che s'aprì con le locomotive
e con i telai meccanizzati,
e che deflagrò col vapore atomico!

S'adempia il Fato, ma quando è fame è fame,
e poiché come ebbe a dire in cucina
Aristotele dinnanzi a simili misfatti
se l'accidente muta non così fa la sostanza,
bruciato non sei e ti mangerò lo stesso.

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