mercoledì 23 maggio 2018

Appunti dal Quirinale

23 maggio 2018
Il Presidente si appoggiò alla scrivania, intrecciò le mani e socchiuse gli occhi. Calava la sera sui palazzi di Roma; l'aria della primavera, al di là delle finestre, s'avvicendava senza fretta sui passanti ignari, sugli autobus derelitti, sui rancori e sulle risate.
Nella stanza c'erano solo loro due e un silenzio smorto, quasi innaturale. La tensione accumulata nel pomeriggio stava scemando.
Il Presidente rifletteva. La storia gli scorreva veloce nella testa, aggrovigliandosi di quando in quando, lasciando buchi nel tempo, soffermandosi per poi riprendere. Facce scomparse, passioni civili taciute, lunghi discorsi, tutto si accavallava, straripava dalle intermittenze della memoria.
Il Presidente ripensò a quanto aveva appena sentito. Che scherzi fa il destino, a volte, si diceva, a metterti di fronte all'imponderabile. Ripercorreva una ad una le parole che l'Altro gli aveva detto: abbellite, tremanti, cariche di aspettative, anch'esse piene di accelerazioni e di intoppi bruschi. 
Che fare, che fare, si diceva il Presidente. Riaprì gli occhi, quegli occhi azzurri che tanto avevano visto, tanto avevano capito. Guardò l'Altro, con gentilezza. Ci sono momenti nella vita di un paese, pensava. Ci sono momenti nella vita di un uomo. L'Altro stava lì, seduto. Aspettava. 
Il Presidente trasse un profondo respiro.
"Adesso metti via il quaderno e ridimmelo con parole tue."

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