lunedì 27 febbraio 2017

Sette pianeti in settenari

Sette pianeti in settenari 
L’umano non vuol pace,
ché di saper ha fretta:
all’infinito getta
lo sguardo, e si compiace.
Il cielo si confonde,
d’ignote voci tana.
La rossa palla nana
lì, senza nucleo, fonde
idrogeno a rilento;
e fredda luce sputa,
discosta, trattenuta,
lunghissimo lamento.
Dell’esistenza l’orme
da poco le solleva:
quaggiù noi s’esplodeva
d’indefinite forme,
nei mari del Cambriano
schiumavano profuse
ipotesi diffuse
d’un mondo vario e strano:
e lei, lassù, la stella
allora si raddensa,
qual fa il pensier si pensa
e infine si modella,
e scinde notte e giorno:
e, segni d’alfabeti,
microbici pianeti
le gravitano attorno,
al lor passar si flette
la luce che lì sboccia;
son grana spessa e roccia,
serrati, tutti e sette.
La massa s’assomiglia
a quella stessa nostra,
e forse in tre si giostra,
sì come in questa biglia,
il gorgogliare d’acque:
chiassose, rotolanti,
sì che in codesti istanti
lo specular ci piacque
di vita, poca o tanta,
che tutta in sé s’appaga;
e la si conta, vaga,
che un giorno la si agguanta,
un giorno mai venuto,
un voto mai riscosso.
Si guarda l’occhio rosso
dentro lo spazio muto.

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