Socrate: Eccoti dunque, Mimesio. Ti ho cercato tutto il giorno per discorrere con te, ma non riuscivo a trovarti.
Mimesio: È un periodo che me ne sto per conto mio, Socrate. Mi sento angustiato e triste.
Socrate: Ti conoscevo come uomo saggio e virtuoso, amante della compagnia e dei discorsi. Che t’è preso dunque?
Mimesio: Duro è il trascorrere del tempo, qui tra le ombre dei trapassati, o Socrate.
Socrate: È da vedere, o Mimesio: tra i vantaggi c’è il fatto che possiamo vedere come è andato avanti il mondo, e conoscere noi stessi in base a quanto apprendiamo.
Mimesio: Non v’è dubbio, o Socrate. Purtuttavia, oggi la mia condizione di defunto mi duole.
Socrate: Siamo morti ormai da quasi duemilacinquecento anni, o Mimesio.
Mimesio: Dici bene, ma solo adesso ne assaporo per intero l’amarezza.
Socrate: Perché mai, Mimesio?
Mimesio: Perché solo oggi mi interrogo appieno sull’esistenza e sulla qualità della mia immagine come ombra dei vivi, o Socrate. Mi chiedo se la mia parvenza possa essere puro pensiero o sia ancorata al mondo sensibile e, nel caso, di come lo sia.
Socrate: Vediamo ombre proiettate dal fuoco, amico mio. Forse non siamo che quello. Pensa all’analogia tra ciò che è il bene per l’intelletto e ciò che è il sole per la vista.
Mimesio: Siamo artefatti, noi, forse?
Socrate: Se ti riferisci all’arte come imitazione della natura, allora...
Mimesio: Ma quale imitazione, caro Socrate: quel che mi angustia è molto peggio. Trattasi, lo vedi, di questa applicazione per cellulari...
Socrate: Oh, ma è Instagram. La conosco. E perché ti angustia, o Mimesio?
Mimesio: Dovrò partire da lontano, o Socrate, e dire tante cose.
[...]
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Non dovrei mettermi a definire sempre tutto (o a commentarlo), mi prendo questo potere solo perchè so di non sapere quello che dico, il che assomiglia alle volte a sapere veramente bene ciò che si dice. Direi di poter definire lo scritto come una narrazione Antropologica. Ma ho fatto solo una lettura superficiale.
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