sabato 2 marzo 2013

Le vite parallele


[stavolta un post serio]

Circolano negli ultimi giorni nei social network degli spezzoni di un discorso elettorale di Adolf Hitler nel 1932 in cui il futuro Führer si scaglia contro il sistema dei partiti e sottolinea l’unicità del suo movimento come alternativa inderogabile, come entità aliena che non è passibile di entrare nel gioco delle alleanze perché rifiuta ab origine le regole del gioco democratico. Al netto dei vaffanculo sembra un discorso di Beppe Grillo e quando s’è fatta notare questa sinistra somiglianza i grillini se ne sono avuti a male. C’è da capire la loro levata di scudi: nessun fanatico ammetterebbe mai di esserlo, soprattutto con se stesso, e del resto nel movimento non hanno riposto le loro speranze solo gli esaltati che credono davvero che la biopalla lavi qualcosa, o quelli che hanno incensato Berlusconi fino a ieri l'altro, o che bombarderebbero le sedi di Equitalia; ci sono anche persone che vivono sulla loro pelle la crisi di rappresentanza e che hanno ritenuto che il M5S fosse in grado di mettere in piedi quelle politiche che la sinistra non è stata capace di fare, per colpa, negligenza o spesso per necessità: norme sulla corruzione, sul falso in bilancio, sui costi dell'amministrazione pubblica, sul conflitto di interessi, una nuova legge elettorale e soprattutto interventi sul mercato del lavoro. Concentrati su questi (sacrosanti) obiettivi e in preda a un (legittimo) risentimento nei confronti della classe politica non hanno tenuto conto del fatto che il movimento grillino è intrinsecamente antidemocratico. Per meglio dire: fascista. 

E veniamo al punto del paragone tra il discorso di Hitler e quelli di Grillo.
Il fenomeno Hitler tende ad essere liquidato con la dicitura "pazzo furioso che sterminò milioni di persone e trascinò il mondo nella guerra più sanguinosa di sempre", e parimenti si liquida il nazionalsocialismo. Psicologicamente ciò è comprensibile perché un evento così orribile è difficile da maneggiare, è difficile pensare che è stato prodotto da uomini culturalmente e storicamente così simili a noi che potremmo addirittura essere noi. La reazione è di totale chiusura. Ma con questa rimozione ci si dimentica tutto quello che c'era dietro, anche al di là della banalità del male: la disperazione dei tedeschi che lo votarono convinti che avrebbe posto un freno a disoccupazione e inflazione galoppanti a cui i socialdemocratici non erano stati capaci di ovviare in tempo breve, la volontà di essere unico partito "perché gli altri erano morti e responsabili del disastro", la rassicurazione molto umana di avere un capo carismatico forte capace di incanalare la rabbia e il rancore, la ricerca di un nemico esterno per coalizzare il popolo e distoglierlo dalle proprie responsabilità di crescita civica per cui allora il nemico erano gli ebrei e la finanza internazionale, adesso sono la finanza internazionale e la Merkel; la divisione manichea del mondo in buoni e cattivi, ariani e non ariani, grillini e non grillini, sulla spinta della fallacia della falsa dicotomia, quella del "chi non è con noi è contro di noi"; e ancora, la retorica delirante e violenta, i progetti visionari (date un'occhiata ai vecchi video di Casaleggio, che mescolano sapientemente scenari da Matrix, Orwell e setta religiosa), il rifiuto del compromesso visto non più come necessario arricchimento civile e democratico ma come contaminazione con qualcosa di impuro, la ricerca quasi mistica della salvezza, della palingenesi, dell'ordalia. I punti di contatto sono tanti, e notevolissimi. Poi ogni situazione fa storia a sé e pertanto non credo che rivedremo i campi di sterminio; il nazismo è stato probabilmente un unicum nella storia, ma il fascismo non lo è. È una malattia endemica, autoimmune, che si ripresenta ogni volta che le nostre difese democratiche si abbassano, vuoi per pigrizia o assuefazione, vuoi per condizioni esterne avverse. S'è presentato qui negli anni Venti, rischia di farlo adesso. Riconosciamo allora come oggi la visione della democrazia rappresentativa come depravazione, la semplificazione del linguaggio fino a ridurlo a slogan violenti, la derisione per il pensiero articolato messa in atto tramite la caricatura del cosiddetto intellettuale borghese e tramite l'introduzione di soluzioni ipersemplificate, ai limiti della vaghezza e della tautologia, per risolvere problemi complessi; il rifiuto della critica e dell’autocritica, il trarre sostegno dalla frustrazione delle classi medie, il gridare al complotto internazionale, la tentazione autarchica, e poi naturalmente il populismo, l’assecondare la pancia dell’elettorato e le sue pulsioni primordiali, il "combatti o fuggi" che pure è reazione fisiologica allo stress. Il tutto è stato infine messo a bagnomaria nella cronica mancanza di senso civico italiano e nel campanilismo che riduce la dialettica a tifo da stadio.

Temo quindi che per quanto riguarda la tenuta delle istituzioni democratiche si debba stare attentissimi. La democrazia non è qualcosa di acquisito per sempre e non occorre essere in malafede o stupidi per consegnarsi mani e piedi a un megalomane con velleità dittatoriali: spesso è sufficiente essere disperati e la crisi economica è un ottimo motivo di disperazione. Il problema è che il megalomane con velleità dittatoriali non risolve la situazione: può fornire dei palliativi, certo, può anche ottenere dei risultati nel breve termine, ma a prezzo di toglierci uno dei diritti più grandi, il diritto di essere liberi.

3 commenti:

  1. proprio quando avevo deciso di astrarmi dall'Italia per amareggiarmi meno mi imbatto in qualcosa che mi piace leggere.. fastidioso!

    A.

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