Tanto tempo fa, quando ero alla scuola elementare, facemmo il presepe con le patate. Ci mettemmo a lavorare, noi solerti bambini vigilati dalla benevolenza occhiuta delle maestre, grossomodo in questo periodo dell'anno. Ogni personaggio era stato assemblato con i suddetti tuberi e indi collocato nell'apposito spazio a lui deputato nella scenografia consueta - Maria e Giuseppe nella stalla con Gesù, i pastori e le pecore intorno, i Magi in arrivo, eccetera. Il problema fu che le patate, come spesso accade se non le mangi per tempo, dopo un po' cominciarono a germogliare.
Il giorno prima che il presepe venisse mostrato al pubblico toccò portare di gran carriera San Giuseppe in riparazione, perché nottetempo gli era spuntato, unico tra tutti i personaggi, un poderoso paio di corna. Attendemmo invano un pronunciamento ufficiale della Santa Sede, smaniando per una corretta interpretazione teologica del fenomeno, o almeno per avere indicazioni aristotelicamente coerenti sulla sostanza e l'accidente della solanina.
Niente da fare.
Da allora il mio presepe preferito fu quello che si allestiva in stazione, un grande plastico con i treni, una meraviglia di trenini perfettamente riprodotti che sfrecciavano sulle rotaie, gloriosamente indifferenti alla piccola grotta della Natività sistemata in un angolo, tra uno scambio e un passaggio a livello, e le locomotive erano un miscuglio laico di Guccini e futurismo.
Poi comunque a casa facevamo l'albero.
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