lunedì 2 settembre 2024

Le morti parallele: Yu Hua e George Saunders

Le morti parallele: Yu Hua e George Saunders

XI libro dell'Odissea. Con un rituale complesso e preciso messo in atto all'uscita del paese dei Cimmeri, ove si trova l'ingresso del regno dei morti, Ulisse evoca le ombre dell'Ade.
Qui riconoscerà tra gli altri Elpenore, il compagno insepolto, e l'indovino Tiresia, e i compagni perduti nella guerra di Troia. Siamo lontanissimi dall'Aldilà che verrà regolato dalla teologia cristiana e reso inderogabile da Dante: le ombre gemono e si lamentano, cercano perfino di avvicinarsi all'eroe ancor vivo, fugaci e impalpabili come nebbia; la loro esistenza è sospesa in uno spazio senza destino, senza distinzioni tra i buoni e gli empi, in cui si consuma la perenne tristezza del distacco da quel che era stata la vita piena, la vita vera di chi ancor morto non è.
Situazioni analoghe occorrono in due bei romanzi contemporanei e impregnati di tradizioni culturali affatto diverse, che sono "Lincoln nel Bardo" dello statunitense George Sanders, uscito nel 2017, premiatissimo e bestseller, e "Il settimo giorno", pubblicato ne 2013 da Yu Hua, l'autore cinese cui si deve tra le altre cose il memorabile "Brothers".
Di che parlano questi romanzi? Parlano dell'esistenza dei morti nella loro fase di transito, chiamiamola così, cioè nello spazio, non solo fisico ma anche emozionale e cognitivo, tra la dipartita e la piena accettazione del fatto di essere morti davvero.
Lo spunto dell'uno è la morte prematura di uno dei figli di Abraham Lincoln, Willie, poco più che bambino, accompagnato dai racconti e dai dialoghi di altre anime trapassate; la morte di un uomo adulto e anonimo nella Cina contemporanea è invece al principio del secondo romanzo, in cui il protagonista vaga alla ricerca della propria cremazione tentando di ricostruire la propria storia e imbattendosi nelle storie di tanti altri come lui. Nei due romanzi si scava nei rapporti tra i corpi, nell'inaccessibilità residua delle relazioni. “Camminiamo in un silenzio che si chiama morte. Non parliamo più, perché i nostri ricordi si sono arrestati. Erano di un altro luogo, erano variopinti, vuoti eppure reali.”, dice Yu Hua, e George Saunders ribatte: “Così mi rannicchio e prendo tempo, mi nascondo, sempre con la (spaventosa) consapevolezza che, sebbene continui a ignorare quale peccato ho commesso, il mio bilancio è rimasto invariato rispetto a quel giorno tremendo. Da allora non ho fatto nulla per migliorare. Forse non c’è nulla da fare, in questo luogo dove nessuna azione può contare.”
Se in "Lincoln nel Bardo" l'azione si svolge materialmente quasi solo all'interno di una cripta, ne "Il settimo giorno" si viaggia invece molto, in paesaggi visti variamente a seconda che chi li abita sia morto o vivo; in entrambi i casi permane lo sguardo lievemente discosto, la sensazione di qualcosa che si percepisce come irrimediabile ma di cui non si riescono ancora a definire i contorni.
Tanto tempo prima diceva così Anticlea, la madre di Ulisse, al figlio che tentava invano di abbracciarne l'ombra, patendo fra le mani l'aria inutile:
Ma questa è dei mortali, se scendon sotterra, la sorte.
Ché nervi piú non hanno che reggano l’ossa e le carni;
ma queste e quelli strugge la furia del fuoco possente
rutilo, appena l’alma lasciato ha lo scheletro bianco;
e via l’alma svolazza per l’ètere, simile a sogno.

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