Scrivere poesie d’amore è difficile e pericoloso.
Però il punto - l’amore, dico - è centrale nella vita di (quasi) tutti, che ci sia o che manchi; lo è comunque nella mia, e affrontarlo in versi prima o poi era nel computo delle cose possibili. Siamo esseri amanti, e siamo anche corpi fisici, fatti di reazioni chimiche, di neuroni che scaricano, di molecole che interagiscono e di tutto l’armamentario fisiologico che, con qualche foga riduzionista, vorremmo impiegare come secondo linguaggio quando parliamo, infine, d’amore e di attrazione.
Questi sonetti combinano chimica e sentimenti con una leggera predilezione, qualitativa, per i secondi - anche perché la stechiometria in endecasillabi è, lo confesso, al di fuori della mia portata tecnica. Molecole e sensazioni, consci dell’ambivalenza della parola “legame”, si cedono quindi vicendevolmente il passo nell’evocare parte di quel mondo emozionale che non muove più il sole e le altre stelle, ma che ancora mangia il tempo e i giorni e li carica di senso.
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