mercoledì 10 novembre 2021

La vendetta

"Mi chiamo S. Ho 35 anni. Mi sento già vecchio; anzi, mi sento in quel limbo di chi non è né vecchio né giovane. Guardatemi. Una laurea magistrale in lettere moderne, un dottorato in italianistica. E poi la solita trafila: uno stage qui, un contratto lì. Le faremo sapere. Visibilità. Un'opportunità per crescere. Ho speso soldi e illusioni nelle scuole di scrittura. Il ragazzo è bravo, ha una voce. Una voce della sua generazione, dicevano. Vedrai, la svolta è dietro l'angolo. Uno con le tue capacità! È solo questione di avere le carte giuste al momento giusto, e tu le hai. Dicevano. Mi chiamo S, ho 35 anni, faccio il ghost writer. La sera vi consegno le pizze, sì, sono sempre io. I miei genitori mi guardano ancora vedendo in me le potenzialità inespresse. È uno sguardo doloroso. Non so cosa sia mancato: il caso, lo sfacciato opportunismo, l'incapacità di arrendersi alla realtà, amici migliori, nemici peggiori, chi lo sa. Scrivo i testi per gli altri. Per quelli arrivati, per quelli che non hanno tempo, o talento, o entrambi. In fondo posso dire che guadagno con quello che scrivo, no?

Be', guadagno poco. Ma qualcosa. Pagano tardi. Però il pù delle volte pagano. Mi chiamo S, ho 35 anni, ho vissuto nei romanzi e nelle rime, ho amato Marcel Proust e Pier Vittorio Tondelli, ho corteggiato Ludovico Ariosto e Dylan Thomas, e ditemi un qualsiasi poeta minore delle isole Comore e io ve ne recito un distico, e vi consegno anche le pizze. Io sono tutto questo, e un giorno ho deciso di vendicarmi.
Un gesto solo. È una cosa che faccio per me.
Arriva l'occasione che aspettavo. Ho questo lavoro per le mani. Presto l'anima a un altro: ha 35 anni come me, anche lui un inizio precario, l'incertezza. Poi la vita è così, a qualcuno gira, a qualcun altro gira male. O non gira più, o promette che girerà. A lui è girata.
La sua autobiografia, mi dicono. E io lui lo so chi è. E allora scrivo. Scrivo ricordandomi di essermi imbevuto di poltiglia e di miseria, e di bellezza e di atrocità, perché io ho letto, ho letto, ho letto, io che mi chiamo S, ho 35 anni, consegno le pizze e scrivo, maledizione. Scrivo.
"Non riesco a saziarmi di libri.
E sì che ne posseggo un numero probabilmente superiore al necessario; ma succede anche coi libri come con le altre cose: la fortuna nel cercarli è sprone a una maggiore avidità di possederne. Anzi coi libri si verifica un fatto singolarissimo: l'oro, l'argento, i gioielli, la ricca veste, il palazzo di marmo, il bel podere, i dipinti, il destriero dall'elegante bardatura, e le altre cose del genere, recano con sé un godimento inerte e superficiale; i libri ci danno un diletto che va in profondità, discorrono con noi, ci consigliano e si legano a noi con una sorta di famigliarità attiva e penetrante."
Lo porto all'editore e trattengo il fiato.
Quello mi guarda. Non oso alzare gli occhi, all'inizio. Poi sì.
"Davvero?" mi chiede.
"Davvero" dico.
C'è un attimo di silenzio in cui passa tra di noi l'universo intero. La vita, la vendetta, le possibilità, il libero mercato, che ne so. Tutto.
Allora lui sbotta e ride.
"È Petrarca. Una lettera di Petrarca."
"Esatto" dico io.
"Cazzo, dai. Petrarca nell'autobiografia di Di Maio?"
Un uomo ha bisogno di un solo istante di coraggio, nella sua esistenza. Che sia questo, mi dico. "Sì. Facciamolo."
Di un solo istante di coraggio e di un complice privo di scrupoli.
Mi guarda e continua a ridere. "Scordatelo".
Gli porgo una seconda bozza.
"Quel giorno chinai lo sguardo a terra. Mi guardai le punte delle scarpe e le sollevai verso l’alto. Mi dondolai pian piano sui piedi. Poi distolsi lo sguardo dalle scarpe e vidi sulla scrivania una riproduzione dell’agenda rossa di Borsellino."
Sospira. "Questo va bene."
Mi chiamo S. Ho 35 anni. Un giorno ho rischiato di diventare un eroe."

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